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26 November 2021

VAGABUNDOS DE LA VIDA - Jim Tully



TRADUCCIÓN E INTRODUCIÓN 
GASTÓN GORGA

PORTADA
PAMELA VARGAS

Esta novela autobiográfica fue un inesperado éxito desde su primera edición en 1924, e incorporó a Jim Tully y su figura de vagabundo literato al imaginario colectivo de Estados Unidos. En Vagabundos de la Vida, el autor evoca el viaje que emprendió a los trece años, en los albores del siglo XX, a través de un convulsionado Estados Unidos, con un pie en el futuro y otro anclado en las sombras de la Guerra Civil. Inspirado por Conrad, London y Twain, Jim Tully es un escritor de voz singular, que combina una visión moderna y naturalista con ecos ancestrales y líricos, y era considerado por sus contemporáneos como el verdadero fundador del género del hard boiled. Su amor por la naturaleza, un humor estoico y su brutal honestidad marcan la impronta de su estilo. El lector se adentra en los márgenes ocultos del "Sueño Americano", las junglas de vagabundos, las cárceles y los patios de ferrocarriles, y descubre junto a su joven protagonista las leyes no escritas y rituales que rigen el camino.

Jim Tully (3 Junio 1886 - 22 Junio 1947) fue un vagabundo y escritor estadounidense de ascendencia irlandesa. Se ganó la vida como forjador de cadenas, boxeador, periodista y podador de árboles. En 1912 se estableció en Los Angeles, donde sus crónicas le ganarían el apodo de “el hombre más odiado de Hollywood”. Fue asistente de Charles Chaplin, y vendió los derechos de Vagabundos de la Vida para una adaptación cinematográfica estrenada en 1928, protagonizada por Louise Brooks. El poder caminar por lugares salvajes, atravesando el viento, sin dinero, comida o refugio, era mejor para mí que inclinarme servilmente ante cualquier decreto convencional del destino.

"El camino me dio una joya que no tiene precio: el ocio para leer y soñar. A pesar de hacerme envejecer prematuramente, e inculcarme toda su abrumadora sabiduría a los veinte años, me regaló, como compañeros de ruta, a las grandes mentes de todas las épocas, que me hablaron con majestuosas palabras".
Jim Tully




18 November 2021

WALLS & WORDS (2015-2021) - Pamela Vargas

«La idea surgió casi por casualidad, inspirada por los propios clientes de la librería», sostiene Vargas «la última publicación sobre el arte urbano en Valencia había aparecido en el año 2008, y era un libro bastante caro y difícil de conseguir. Publicamos las fotografías en unas postales, usando el formato de las antiguas Polaroid, para ver su recepción entre los clientes de la librería, que desde principio fue muy entusiasta. Durante este período, junto a Gabriele Nero (editor de El Doctor Sax) comenzábamos a dar vida a la editorial, por lo que la transición desde las postales al libro se dio de manera natural. La estructura ha ido cambiando a lo largo del tiempo, pero el eje central del proyecto siempre está basado en la idea de un paseo visual por las texturas y colores del barrio más antiguo y colorido de Valencia: el Barrio del Carmen. Durante estos años publicamos cinco números de Walls & Words, que fueron recibidos por el público como un fanzine fotográfico, el diario visual de un flâneur que pasea por la ciudad. Estos librillos tuvieron una muy buena respuesta por parte del público, pero lo que nos sorprendió fue que los propios artistas callejeros compraban los libros, y nos agradecían el haber fotografiado sus obras. Así que para este año hemos decidido consolidar todo el material, eligiendo lo mejor de las antiguas publicaciones e integrándolo con nuevas obras y artistas de los últimos años». 

Pamela Vargas, Santiago de Chile 1989. Diseñadora y fotógrafa, reside en Valencia desde el año 2015, cuando comienza la colaboración con la librería-editorial El Doctor Sax. Pamela encuentra en este proyecto la oportunidad para desarrollar su práctica como fotógrafa y diseñadora de objetos variados, y ha focalizando su producción en el reciclaje y la sostenibilidad de los materiales utilizados. A partir del 2016, está a cargo de los proyectos gráficos, las portadas y la comunicación de la editorial El Doctor Sax, y es autora de cinco libros de fotografía sobre el street art de Valencia.



13 November 2021

VALE UNA VITA: Valentino Rossi, l'ultimo eroe! - di Gabriele Nero

 


«Quanti anni avevate nel 1996?» Questa è la domanda che dovete porvi per capire lo stato d’animo di chi si appresta a salutare uno dei più grandi campioni dello sport di tutti i tempi: Valentino Rossi.

Alcuni di voi non erano nati, altri ancora nell’età in cui si ha poca coscienza. Io nel 1996 avevo 13 anni, era l’estate tra la terza media e la prima superiore, il periodo in cui il mondo ti si apre davanti, in cui è tutto nuovo, tutto una scoperta! Il sogno di tutti i teenager dell’epoca erano gli scooter, ovvero la rivisitazione in chiave anni Novanta del mito italiano della Vespa. Zip, Typhoon, F10 e il mitico Fifty erano gli oggetti del desiderio per un’intera generazione, e forse per vendere qualche motorino in più, la Motogp appariva negli schermi delle tv italiane.

Quelli che vi dicono di essere stati tifosi di Valentino dalla prima gara, sono come quelli che sostengono di aver visto il concerto dei Ramones a Milano: fondamentalmente dei cazzari. In quegli anni si tifava per Biaggi, come per la Ferrari, quel sentimento nazional-popolare che uno segue per inerzia. Prova del fatto che la maggior parte di noi comprava lo scooter nero rigorosamente Aprilia, come la moto di Biaggi. Allo stesso tempo tutti rimanemmo sorpresi da questo ragazzino rompicoglioni, che ad ogni vittoria metteva su degli show incredibili, mentre fino ad allora si vedeva solo il vincitore che faceva il giro d’onore, al massimo impennava un paio di volte la moto. Così ci appassionammo alle serie inferiori sperando sempre in una vittoria di Rossi per di assistere alle sue gag.


Ricordo perfettamente il momento in cui diventai tifoso di Valentino. Quando dopo aver vinto il Mondiale 250 del 1999, gli chiesero se lui fosse il nuovo Max Biaggi, e lui con estrema naturalezza rispose: «Semmai è Biaggi che deve prendere esempio da me: io il mondiale l’ho vinto quest’anno, lui no». Da quel momento fu chiaro che bisognava schierarsi. Mentre Biaggi continuava a non vincere e a mostrarsi per quello che era, un romanaccio spaccone che appena perdeva dava la colpa alla moto, nel 2000 poi si formarono dei veri e propri schieramenti: Biaggi, Capirossi o Rossi? «Io tifo per Valentino, perché è testa di cazzo!», risposi in una di quelle discussioni da sabato sera. La domenica Valentino vinse la sua prima gara in 500!

E da lì cominciò lo spettacolo! Capisco che per chi non li ha vissuti sia difficile immaginare che cosa fosse il Dottore in quegli anni! Era come assistere a un cartone animato in cui in un modo o nell’altro Valentinik, anche quando la gara sembrava compromessa, riusciva a raddrizzarla! Giocava con gli avversari con lo stesso sadismo del gatto con il topo, era attore e regista di uno degli spettacoli più seguiti del pianeta.

Fare l’elenco delle sue imprese, e della felicità che ci ha regalato gara per gara, anno per anno, diventerebbe ripetitivo, specie in questi giorni. Ci guardiamo indietro e scopriamo che sono passati 25 anni, e pure che Valentino ha vinto l’ultimo mondiale una vita fa, nel 2009, ma la gente continua ad amarlo come quando vinceva a mani basse. Questo perché Valentino in questi 25 non ci ha insegnato solo a gioire delle sue gare, ma con lui siamo cresciuti, lo abbiamo visto passare da enfant terrible, a campione imbattile, capace di passare dalla Honda alla Yamaha, che non vinceva un campionato da più di 10 anni, e portarla subito a vincere la prima gara ed il titolo, diventando, di fatto, a poco più di 25 anni, un’icona, una leggenda delle moto.


In quegli anni era facile essere tifosi di Rossi, era rassicurante, bello, e spesso dopo le belle nottate con gli amici, ci si svegliava tardi la domenica passando direttamente dalla lasagna, alla partenza della MotoGp. Per tanti di noi, il periodo d’oro della carriera di Valentino ha rappresentato il periodo più bello della nostra vita. Il momento in cui si impara a farsi spazio nel mondo dei grandi, passare alla cilindrata superiore. Valentino in quegli anni era inarrestabile, ma oltre al merito sportivo, quel ragazzo simile al tuo compagno di scuola, stava dando lezioni a tutti. Le sue vittorie non erano mai banali: qualifiche discrete, pessime partenze, recupero con sorpassi mozzafiato e vittoria per distacco.

Ma per capire l’unicità di Valentino bisogna guardare fuori dalla pista. Nato da una coppia di “genitori un blue jeans”, come di moda tagli inizi degli anni Ottanta, di quelli in cui i figli chiamavano i genitori per nome per intenderci, e che puntualmente si separavano dopo pochi anni, il piccolo Vale scelse di continuare il sogno del padre, ex pilota di MotoGp, ritiratosi in seguito a un bruttissimo incidente ad Imola nel 1982. «Mi sono sempre piaciuti quelli che sanno fare qualcosa, quelli che sanno disegnare, o suonare uno strumento... io non sono capace! L’unica cosa che so fare è andare in moto e cerco di farlo nel miglior modo possibile», dichiarava il Dottore poco più che bambino: una vera e propria dichiarazione poetica! Esattamente come quella di Maradona che al tempo in cui giocava nei los Cebollitas, dichiarava che il suo sogno era giocare con la Nazionale e vincere il Mondiale.

La storia del Valentino vincente dimostrava il fatto che lo sport non è solo questioni di meri numeri ma di emozioni. Il fine non giustifica mai il mezzo, è più importante come si fanno le cose. Le persone di tutto il mondo hanno iniziato ad amare Valentino per quella sua spontaneità che, nel bene e nel male, ha saputo sempre anteporre a tutto. Ha dimostrato di poter essere il migliore senza scimmiottare nessuno, cambiando, crescendo, non diventando la macchietta di se stesso, e allo stesso tempo cambiando il suo sport, essendo un perfezionista ma senza rinunciare alle goliardate da bar!

Dal 2010 in poi, però la carriera di Valentino ci ha raccontato altro. L’eterno ragazzo diventato uomo, passò attraverso l’infortunio del Mugello, gli anni tristi in Ducati, e la perdita dell’unico amico e possibile erede nel puddock, passando a pochi centimetri e pochi secondi dopo l’impatto con l’asfalto dal corpo esanime di Marco Simoncelli. Da lì in poi molti si sono allontanati dalle moto, eppure fatemi dire che sono gli anni in cui ho davvero capito la sua grandezza, la sua tenacia e il suo amore incondizionato per le moto. Dopo quei due anni terribili, di nuovo tutti lo davano per finito, come nel 2006. Si sarebbe potuto ritirare da leggenda vivente già nel 2012, altri giovani piloti erano in ascesa con moto molto più performanti, eppure c’era quel decimo titolo da inseguire, quella chimera per un motociclista dell’era moderna, per cui dopo aver accettato, il fallimento e averci messo la faccia per l’errore Ducati, accettò di essere la seconda guida dell’”amatissimo” Jorge Lorenzo.


«Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui», diceva Jonathan Swift, e avendo parlato di idioti e Lorenzo è inevitabile parlare di Marquez e di quel maledetto 2015. Il Dottore aveva creato il suo capolavoro, 14 anni dopo il primo titolo e a 7 dall’ultimo, aveva calcolato punto su punto, piazzamento su piazzamento, e due vittorie su Marquez, uno con l’avversario che finiva a terra e l’altra con una spallata all’ultimo tornantino per cui lo spagnolo gliel’aveva promessa: «A partire da ora saprò cosa fare con Valentino». Il resto è stato poi davanti agli occhi di tutti: la gara de Philip Island, la conferenza bomba della Malesia, i primi giri killer di Marquez e il contatto-calcio, quello che volete. Il mondo che si divideva tra chi stava con Vale, e tra chi non aspettava altro da anni (dai tempi della storia delle tasse) per saltare sul vecchio leone ferito. La storia, o semplicemente la gara più vista nella storia della MotoGp ha raccontato altro: Valentino sorpassa 20 piloti e da ultimo arriva quarto; i tre piloti spagnoli uno dietro all’altro come sul tram per difendere i 5 punti di Lorenzo, che a titolo incamerato dirà candidamente: «Ringrazio gli altri piloti perché sono stati bravi; in un altro tipo di gara Marc avrebbe attaccato, ma hanno voluto che il titolo rimanesse in Spagna». Durante i festeggiamenti di quel titolo a casa sua, a Mallorca, la moto di Lorenzo andò a fuoco. Nient’altro da aggiungere.

Anzi qualcosa sì! Anche in quel caso Valentino è stato un esempio, di come davanti alle ingiustizie, quando gli idioti si coalizzano contro di te, è giusto prenderli a calci nel culo, e smascherare gli ipocriti, a costo di mettere in gioco ciò a cui tieni al mondo! Il problema era proprio quello: Valentino è cresciuto nel puddock, già con suo papà, è cresciuto in mezzo ai piloti, quelli veri, quelli con cui se c’era qualcosa da chiarire si finiva a spintoni sotto il podio, come con Biaggi, ma si correva tutti per per vincere. «Marc è tutta la settimana che dice che darà il massimo, che punterà a vincere, ma dopo quello che ha fatto oggi è veramente uno che se ne sbatte i coglioni», ovvero Valentino vittima della congiura dei bimbiminchia, ragazzini perbene, ottimi per la pubblicità dei prodotti antibrufoli, con i loro sorrisi perfetti, e già addestrati dalla tenera età alla società dello spettacolo, su ogni tipo di media. Niente a che vedere con le corse in Ape-car dandosi le sportellate per le stradine di Tavullia. Lo sport di oggi come specchio della nostra società, in cui il significato si è perso, mentre il significante è diventato solo apparenza per vendere qualcos’altro: marketing.

Marquez, ovunque vada nel mondo, al di fuori della Spagna, viene ancora oggi fischiato, perché per la sua infantile ripicca ha distrutto il sogno di migliaia di persone che vedevano in quel titolo il coronamento di una carriera unica, ha distrutto il sogno di chi viaggiando su uno scooter scassato, sognava di essere ad Assen, al Mugello o nel cavatappi di Laguna Seca: ha distrutto il sogno del Motociclismo.

Spesso quando si parla di sportivi controversi si dice che non spetti a loro educare i giovani, ma alla scuola e ai genitori. Dall’altra parte i moralisti affermano che i grandi campioni, invece debbano essere d’esempio. Per quello che mi riguarda Valentino ha rappresentato più di un esempio, ha rappresentato l’ispirazione massima, un principio etico e estetico a cui tendere sempre: “fai ciò che vuoi, fallo al massimo. Se sbagli dando il massimo, non fa niente. Sorridi, mettici la faccia e riparti più convinto di prima”. E poi da italiano all’estero, Valentino è stato un po' quello che è stato Joe DiMaggio per Fante, ma
 negli anni in cui al pronunciare la parola “Italia”, la prima reazione era una risata e la seconda “Bunga-bunga”, ha rappresentato davvero uno dei pochi momenti di riscatto per il nostro paese, al pari dell’Oscar di Sorrentino. Geni compresi in tutto il mondo, sempre un po’ di meno in Italia... chissà perché.

Durante questo quarto di secolo le gare di Valentino hanno rappresentato qualcosa di più di un semplice evento sportivo. Nei momenti più bui, quelli attraverso i quali siamo costretti a passare tutti, la gara della domenica, immaginare una nuova impresa, o nei lunghi inverni senza corse ad aspettare la nuova moto, il nuovo campionato, era un pensiero sempre positivo e di speranza verso un qualcosa di nuovo e sempre entusiasmante. E poi capisci che questo tuo sentimento estremo è condiviso da tanti altri, dalla marea gialla che sin dai primi anni ha colorato le gradinate dei circuiti di tutto il mondo.

Valentino è stato felicità e spensieratezza, ci ha insegnato quanto sia importante mantenere dentro di noi i bambini che eravamo, capaci di emozionarci per il miracolo della fisica e tecnologia che sono le moto e il primordiale istinto di voler arrivare primo. Il solo parlare di lui strappa un sorriso e fa brillare gli occhi a me come al ragazzo pakistano che lavora nel kebap. Valentino ci ha accompagnato nella nostra crescita, e con lui e forse anche grazie al suo esempio, abbiamo capito l’importanza del divertimento nel continuare a fare le cose.

«Io non avrei mai potuto fare come lui, visto che per me il gareggiare corrispondeva a vincere, a stare davanti a tutti ed a farlo costantemente. Avrei fatto un enorme fatica a correre per tanti anni senza poter essere al top, senza avere i mezzi giusti per giocarmela con i migliori» ha detto pochi giorni fa Casey Stoner, in pista il suo rivale più forte di sempre. 2015 a parte Valentino ci ha dimostrato anche quanto sia importante accettare anche il lato ludico dello sport, facendo parte del grande circus, creato da lui, pur non essendone più un protagonista principale.


Scherzando (ma nemmeno troppo) negli ultimi anni dicevo che la mia gioventù sarebbe finita quando Valentino avrebbe smesso di correre. Il Dottore ci ha regalato qualche anno in più, scegliendo di non lasciare nulla di intentato, e ora che siamo diventati adulti forse è ora di guardarsi alle spalle e vedere la grande bellezza di questi anni. No, non esisterà un altro Valentino, così come non torneremo ad avere vent’anni. E se è vero che millennio è iniziato con attentati terroristici, crisi economiche, pandemie, ci ha anche regalato improvvisi momenti di felicità grazie a Valentino Rossi da Tavullia! E sono orgoglioso di essermi svegliato alle 5.00 di mattina di domenica per vedere i gran premi del Giappone, o dell’Australia, di averlo considerato sempre come un dogma: il mio mito da quando avevo 13 anni al giorno d’oggi che ne ho 40!

Allora dove eravate nel 1996? Non avevamo telefonini, e il massimo divertimento era mettere 5.000 lire nello scooter per arrampicarci sulle strade dove giravano anche quelli con le moto vere, quelle potenti. Scorrendo l’album dei ricordi, ripensando a tutte le gare, le emozioni e il divertimento non scorriamo solo la carriera del grande campione, ma rivediamo il film delle nostre vite. Ecco accavallarsi i ricordi di estati al mare, ex fidanzate, amici che chissà dove saranno finiti, persone che non ci sono più, incrociarsi con quella gara, quella rimonta, o quell’altra celebrazione. Il 46 è stato il grande filo giallo che ha unito ricordi pieni gioia e di gioventù. Non so come sarà la vita da lunedì, e non solo quella di Valentino ma un po’ quella di tutti noi. In un certo modo, per chi lo ha seguito, ha cambiato la nostra visione della vita, ha rappresentato un modo di essere. In un mondo pieno di stronzi Valentino Rossi è stato il mio unico eroe!

Comporta movimento. Del riflesso, del pensiero, dell’attenzione, del gesto. Genera vantaggi, libidini, un pizzico di rischio, un piacere esclusivo. Il piacere di guadagnare qualcosa per raggiungere qualcosa. Un traguardo, un compimento. Velocità come eliminazione dei tempi morti, del tempo perduto, della noia, talvolta. Velocità come sistema di vivere, di vincere, di stare al mondo, essendo il mondo in piena accelerazione. È una aspirazione e, spesso, una scelta, oppure una attitudine che amplifica sensazioni, reazioni, gusto. La velocità costringe a una cura adatta, a una capacità specifica, altrimenti comporta un errore, una caduta, un rimpianto. Ci vuole testa e fisico, per la velocità. Quella padronanza che permette di apprezzare la lentezza, quando essere veloci non serve affatto» (Valentino Rossi)


Gabriele Nero
Valencia 13 Novembre 2021












10 April 2021

Una esvástica en la cara de Luca Buoncristiano - por Rafael Becerra (Español)



¿Dónde está mi padre? ¿dónde está mi madre? La que dicen y redicen que me cambió por unas cervezas ¿Porqué este ansía de las instituciones por controlar mi educación? ¿Porqué tantas leyes como cadenas?  Comienza el viaje a la mente del asesino ¿Pero?¿qué asesino? Manson no mató a nadie, lo convirtieron en el chivo expiatoria de un sistema represor contra todo un movimiento cultural a finales de los sesenta. El tipo desde luego no era un santo, como tantos otros, un marginal desubicado, un delincuente juvenil oportunista en busca de un destino que le fuese favorable. En su persona se condensa la desorientación de una generación en busca de si misma, enfrentada a un gigante sin piedad a la hora de aplastar cualquier crítica o intento de cambiar las cosas.

Luca Buoncristiano nos introduce en la mente del más infame asesino de masas de todos los tiempos según los titulares de los diarios sensacionalistas americanos durante décadas. A través de las entrevistas que concedió, el autor nos invita a un viaje alucinado de un actor secundario dentro de su propia vida, donde el personaje fagocita a la persona. La irremediable víctima de un sistema que no estaba dispuesto a dejar que nadie, y menos un hippie, (cosa que Manson no era) hiciera temblar los cimientos de la democracia (siempre tan demócrata) americana.


Músico, ladrón, ideólogo, inadaptado, poeta, beatnik. Heterodoxo exponente de una época controvertida y cambiante cuyas heridas todavía duelen y cuyas brasas aún resplandecen.

Un paso más para entender las claves de un gigante implacable cuyo mayor enemigo fueron siempre los díscolos hijos que crecieron en su seno. La guerra más grande llevada a cabo por los EEUU fue siempre contra su propia estirpe. Un dato del que han tomado buena nota todos los países cercanos a su órbita.

Condenado por conspirar para cometer los asesinatos Helker Skelter de Sharon Tate y sus amigos el 8 de agosto de 1969 y los de Leno y Rosemary La Bianca a la siguiente noche. Un juicio y una acusación que hacían aguas por todas partes. Una historia que ha hecho millonarios a los ideólogos de películas, especiales de televisión, camisetas, libros.

Un relato que aporta su granito de arena para entender la contra-cultura americana en uno de sus grandes protagonistas. Totalmente recomendable, para comprender los mecanismos del poder político, que no tiene reparo en devorar sus propios principios.

Rafael Becerra

05 March 2021

L'UOMO ELEFANTE E ALTRI RACCONTI - Frederick Treves

 
A CURA DI 
ARMANDO ROTONDI

COPERTINA: 
MARCO DE LUCA 

Nel 1884, il medico chirurgo Frederick Treves vede per la prima volta il giovane Joseph Merrick, noto come l’Uomo Elefante, esibito come fenomeno da baraccone, in un negozio in prossimità del London Hospital. Incuriosito da Merrick e dalla sua malattia, Treves lo incontra una seconda volta nel 1886, accogliendolo nel suo ospedale. Da quel momento in poi, tra i due nasce un rapporto di amicizia che porterà Merrick a superare le difficoltà della sua condizione e ad integrarsi in un mondo, quello dell’alta società inglese sul finire del XIX Secolo, fino ad allora, a lui sconosciuto. Con grande spirito di osservazione, Treves pennella un ritratto intimo e personale, ma allo stesso tempo fornisce la descrizione clinica di Merrick, facendo emergere le contraddizioni e i paradossi della società vittoriana di fronte alla diversità ripugnante dell’Uomo Elefante. Il racconto ha ispirato David Lynch per la realizzazione suo capolavoro The Elephant Man del 1980, con John Hurt nel ruolo di Joseph Merrick e Anthony Hopkins in quello di Treves. Questo volume contiene anche altri due scritti dello stesso autore: Un amante del mare e In Articulo Mortis.


Sir Frederick Treves (1853-1923) è stato un chirurgo, medico straordinario al servizio personale della regina Vittoria e di Edoardo VII, oltre che uno dei massimi esperti britannici di anatomia umana. Treves, attento osservatore del comportamento umano e della società, deve la sua fama anche alle sue doti di scrittore che lo portarono alla stesura di questi brevi testi, a metà tra racconti e resoconti clinici, raccolti in The Elephant Man and Other Reminiscences (1923), e di volumi sia di carattere scientifico che narrativo quali Surgically Applied Anatomy (1883), Highways and Byways in Dorset (1906), A Student's Handbook of Surgical Operations (1892), Uganda for a Holiday, The Land That is Desolate e The Cradle of the Deep (1908).

«All’età di vent’anni era una creatura senza speranza. Non c’era niente davanti a lui, se non la vista di carrozzoni che strisciavano lungo una strada di file di abbaglianti tende da circo e di schiere di occhi spalancati, alla fine, sullo spettacolo di un uomo distrutto. Chi studia l’evoluzione del carattere umano potrebbe immaginare gli effetti di questa vita brutale su un uomo sensibile e intelligente. È ragionevole pensare che tutto ciò avrebbe dovuto spingerlo ad essere un perfido e maligno misantropo, gonfio di veleno e di odio per i suoi simili, o, altra ipotesi, una persona disperatamente malinconica, ai limiti dell’idiozia. Merrick, tuttavia, non era così.
Era passato attraverso il fuoco e ne era uscito illeso.
I suoi problemi lo avevano nobilitato».


Armando Rotondi ha curato l’introduzione e la traduzione del volume. Rotondi, scrittore e traduttore, è professore e presidente del corso di laurea specialistico in teatro presso lo IAB (Barcelona). Ha insegnato e svolto attività di ricerca presso le Università di Napoli L’Orientale, Federico II, Verona, Bucarest, Bratislava e Toruń. Come traduttore ha curato La storia di Anthony John di Jerome K. Jerome e tradotto testi di Ambrose Bierce e Richard Garnett


10 February 2021

UNA ESVÁSTICA EN LA CARA - Luca Buoncristiano

«La vida es como un crimen, 
necesita una narración».

Charles Manson fue el criminal estadounidense más famoso del mundo, conocido por ser el instigador de las masacres de Tate-LaBianca donde murieron siete personas, incluida Sharon Tate, la esposa del director Roman Polanski, embarazada de ocho meses. Charles Manson representa el fin del movimiento hippie y de la cultura del amor libre, considerada por los medios de comunicación de todo el mundo como la encarnación del mal, su figura sigue ejerciendo una fuerte atracción también en el mundo del espectáculo, desde los Guns'n'Roses y Marilyn Manson, hasta la última película de Tarantino Érase una vez en Hollywood.

Con una operación de docuficción literaria, resultado de un juego entre ficción y realidad que utiliza las declaraciones del propio Manson, Luca Buoncristiano construye un monólogo, un íntimo flujo de conciencia, del mismo Manson. El resultado es un autorretrato surrealista y lisérgico, la confesión desesperada de uno de los iconos más famosos del mal, malgré lui.

«El libro de Buoncristiano representa un intento de traslapo, declinado a través de la creación de un formidable flujo de conciencia atribuida al mismo Manson, que se convierte en una "confesión imposible", una reescritura del personaje desde dentro».
(Paolo Melissi – Satisfiction.eu)

Luca Buoncristiano (Roma 1976) autor e ilustrador, ha trabajado para radio y televisión. Colaboró ​​con los escritores Sandro Veronesi y Edoardo Albinati y fue curador del legado artístico de Carmelo Bene. Autor de Joe Rotto, que apareció hace más de diez años en el primer blog italiano dedicado exclusivamente a las ilustraciones, publicó Mary & Joe, Fazi Editore 2007; Panta Carmelo Bene, Bompiani 2012; Libro Rotto, El Doctor Sax 2017; Album Rotto, El Doctor Sax 2018.Una esvástica en la cara es su primer libro publicado en español, fue traducido por Juanjo Monsell.