28 April 2021

LE TANTE MORTI DI AMBROSE BIERCE di Rafael Becerra (Traduzione di Silvia Pantò)

 




È comune alla maggior parte dei recensori e biografi delle opere di Ambrose Bierce lasciarsi coinvolgere dai fatti che riguardano la sua misteriosa scomparsa e la sua morte. La questione in sè, alimenta la mente macabra dei lettori e degli stessi editori che continuano a parlare di come finì la vita dello scrittore al punto da inventare conclusioni bizzare, solo per poter avere un epitaffio certo di uno dei più grandi misteri della letteratura.

Per quanto molto conosciuta, non è della sua misteriosa scomparsa che voglio, ma delle tante morti che una persona si ritrova a dover affrontare nella propria vita, quelle che forgiano il carattere perché originate da circostanze dolorose, che possono condizionarci per tutta la vita. Questo fu il caso di Bierce, che gli inglesi soprannominarono Bitter Bierce, a causa dell'amarezza e della disillusione tipiche dei suoi scritti. Basta osservare la sua biografia per farsi venire un nodo in gola.

Essere il più giovane di nove fratelli, di una famiglia umile, in un villaggio dell'Ohio nel 1842, non può essere definita una fortuna, cosa che pensava anche Bierce, e da cui nasceva l'odio verso la propria famiglia. Suo fratello Albert era l'unico che sfuggiva all'ira della sua penna, non si sa bene perchè, ma si può intuire facilmente. E
ra sua madre il vero capo famiglia, calvinista e puritana, gestiva con rigore le vite dei propri figli e del marito scansafatiche, con la frusta in una mano e la bibbia nell'altra.

È in questo ambiente repressivo e pieno di pregiudizi che crebbero i nove figli e non c'era da meravigliarsi se tutti desiderassero scappare da lì. Uno dei suoi fratelli fuggì con un circo e un'altra sorella, andata in missione in Africa, ebbe un drammatico incidente relazionato alla dieta di alcuni indigeni.

A 17 anni Bierce entrò nell'accademia militare ma presto esplose la guerra di secessione che nel 1861 lo trascinò con sè. La tragedia della guerra si manifestò davanti gli occhi di quel ragazzo, con tutta la sua crudeltà e drammaticità; egli stesso ne farà le spese rimanendo gravemente ferito. Quest'esperienza così orribile fu ciò che ispirò buona parte delle sue opere. Difatti non vi era traccia d'invenzione alcuna nelle storie narrate in Nel mezzo della vita. Racconti di soldati e civili: ogni oscenità descritta
, sia morale che fisica, fu realmente vissuta in prima persona da Bierce. I racconti contenuti in quest'opera sono quelli di persone segnate da un destino avverso. Un'opera pacifista, che mostra le ombre di uno spettacolo bellico misero e privo di grandezza. Molti studiosi considerano questa raccolta di racconti come la sua miglior opera.

Bierce si stabilì poi a San Francisco e iniziò a scrivere per diversi giornali, interessandosi alla politica locale, venendo nuovamente deluso anche da questo mondo. Fu però questo il periodo in cui incontrò Mark Twain, con il quale strinse una solida amicizia. In seguito andò a vivere a Londra per tre anni, forse il periodo migliore della sua vita. Successivamente si sposò, ma purtroppo non visse un matrimonio felice: due dei suoi figli morirono tragicamente, uno in una rissa e l'altro alcolizzato. Nel 1889 si separarò da sua moglie, dopo 18 anni di matrimonio. Nel 1876, una volta tornato a San Francisco, ricominciò a scrivere per giornali attraverso i quali raggiunse un grande prestigio. Stufo del suo amaro presente, si imbarcò in quella che risultò essere la sua ultima avventura. Realizzò, prima di tutto, un viaggio in cui ripercose i campi di battaglia della guerra di secessione americana, e nel 1913 partì per la guerra civile in Messico, luogo in cui si persero le sue tracce.


Di Ambrose Bierce rimangono le sue opere, i suoi magnifici racconti, le sue storie fantastiche ed il suo incatalogabile e inimitabile Dizionario del diavolo, un'opera corrosiva piena di black humor, in cui lo scrittore fa magistralmente i conti con una società corrotta. Un capolavoro universale, sempre attuale,da rileggere spesso, vista la brutalità dei nostri giorni.

Bierce fu paragonato a scrittori come Nathaniel Hawthorne, Herman Melville, Edgar Allan Poe y Stephen Crane. Con un curriculum di questo livello, vale la pena immergersi nelle sue opere, perché si viene immediatamente catturati dal suo stile vivace, che trascina nelle storie, a volte terrificanti, altre violente, o fantastiche, con titoli davvero suggestivi come Il club dei parenticidi.

Un autore che continua a suscitare ammirazione e al quale è importante ritornare spesso per ricordarci che nessuna vanità, nessun cosa materiale, potrà salvarci dalla stupidità.

27 April 2021

FRANÇOIS MAURIAC ET LA MAISON GRASSET: Lettres de François Mauriac a Louis Brun - Pier Luigi Pinelli

 


La correspondance de François Mauriac constitue une véritable «biographie intime»: il y révèle ses penchants politiques et littéraires et s’y exprime avec liberté et franchise. Cette absence d’arrière-pensée et d’élaboration confère aux Lettres de François Mauriac à Louis Brun une simplicité et une spontanéité empreintes au charme naturel de sa conversation. Ce qui faisait dire à Jacques Chardonne: «C’est que vos lettres sont vous-même, plus que tout.» Le lecteur trouvera dans ce texte ample confirmation de l’importance que François Mauriac a accordée à la valeur de son œuvre et à son métier d’écrivain qui devait lui permettre de gagner sa vie. Dans ces lettres, il n’est pas question de problèmes littéraires, religieux ou politiques, mais on y trouve un Mauriac «au quotidien» qui veut tirer de sa profession tous les avantages économiques possibles. Cette correspondance témoigne aussi du rapport parfois difficile de François Mauriac avec son éditeur, Bernard Grasset. C’est une relation qui faisait écrire à Louis-Ferdinand Céline: «Tous les éditeurs sont des charognes»; à quoi Gaston Gallimard rétorquait: «Un auteur, un écrivain, le plus souvent n’est pas un homme. C’est une femelle qu’il faut payer, tout en sachant qu’elle est toujours prête à s’offrir ailleurs. C’est une pute.»

François Mauriac, né à Bordeaux, le 11 octobre 1885, a fait ses études chez les marianistes du collège de Grand-Lebrun. Les vacances dans les Landes l’enracinent dans un terroir qui est à l’origine de son œuvre romanesque et poétique. À l’âge de vingt ans, en 1906, il «monte» à Paris et se consacre à la littérature. Ses romans principaux sont: Genitrix, Le Désert de l’amour, Thérèse Desqueyroux, Le Nœud de vipères, La Pharisienne, Un adolescent d’autrefois. Élu à l’Académie française, en 1933, il remporte le prix Nobel, en 1952. Il meurt à Paris, le 1 septembre 1970.

Pier Luigi Pinelli, professeur de Langue et Littérature française à l’Université de Gênes, Chevalier des Palmes académiques a consacré ses recherches sur Montesquieu, Rousseau, Hugo, Champfleury, Flaubert, Gide, Valéry, Zola, Huysmans, Mauriac, Barbusse, P. Grainville, C. Gailly et, à partir des années 1990, à l’édition génétique de Genitrix, du Désert de l’amour et de La Fin de la nuit.



22 April 2021

LA MAIL ART TRA FUTURISMO E INISMO - Eugenio Giannì

 

La Mail Art tra Futurismo e Inismo intende colmare un vuoto che, seppure rappresentato da annunci, volantini e libri dei singoli mailartisti, non offre una visione d’insieme dell’intero processo. L’aver raccolto in un unico volume l’attività dei numerosi autori, dagli Stati Uniti all’Italia, dalla Francia alla Polonia, dalla Germania al Giappone, attraverso i documenti conservati negli archivi, vuole essere un modo per far conoscere il complesso e spesso degenerante pensiero sull’arte, sia a livello filosofico sia artistico. Non sempre, infatti, i numerosi movimenti sorti nel primo Novecento sono riusciti a portare avanti le attese enunciate dalle avanguardie. Permane indelebile, oggi, da una parte l’azzeramento di senso procacciato dalla Mail Art, dall’altra il suo recupero e la libera creatività che l’Inismo pone alla base della propria ideologia.

Eugenio Giannì, estetologo e teorico dell’arte, aderì all’Inismo, movimento internazionale d’avanguardia, nel settembre 1990. Già docente di Teoria della comunicazione visiva presso l’Istituto Statale d’Arte di Arezzo, di Estetologia presso lo Studio Paolino Internazionale della Comunicazione Sociale (SPICS) e nell’Università Pontificia di Roma, è autore di numerose pubblicazioni tra cui Estetologia del colore. La dinamica del movimento nell’arte e Saggio sull’arte contemporanea d'avanguardia. L’inismo.





20 April 2021

LA CAMPANA DE CRISTAL de Sylvia Plath - por Rafael Becerra




Es difícil comprender las razones de un suicida. La escala de valores a las que nos atenemos las personas normalizadas no servirían para establecer ni para acercar una explicación al acto de quitarse la vida. En muchos casos esas razones pueden atender a determinadas circunstancias que junto con una buena dosis de desesperación llevan a la persona a terminar con su vida, quizás en un arrebato. Pero cuando es la mente distorsionada la que lo empuja al suicidio, las explicaciones o razonamientos quedan fuera de la ecuación.

La campana de cristal, es un libro, más que premonitorio, se podría decir, contemporáneo con el suicidio de su autora: Sylvia Plath. Fue publicado tras su muerte, y su protagonista, Ester Greenwood es ella misma, narrando el viaje íntimo hacía la locura y su posterior recuperación e integración en la sociedad. En la realidad, esa integración se transformó en su propio fin.


Siempre he tenido en alta consideración a las personas que se quitan la vida. Cierto sentimiento de respeto y admiración, dada la valentía del acto. Pero he caído en el error casi siempre de pensar en ello como un acto premeditado. Hace apenas dos años viví de cerca el suicidio de una mujer, hermana de un buen amigo. Esta persona, profesora, madre de dos hijos, y aparentemente normal, llevaba una vida tranquila y monótona como casi todos nosotros, hasta que algo comenzó a romperse dentro de su mente, y comenzó ha hablar de quitarse la vida. Su hermano, incapaz de comprenderla me narró con amargura los pasos que siguió hasta conseguir llevar a cabo su objetivo. Escuchar ese relato es estremecedor: -¡Las voces me dicen mátate! Creo que no hace falta ahondar más en el caso, ya que ninguna conjetura lanzada desde la razón nos haría llegar a ninguna conclusión plausible.

Sylvia Plath se suicidó en 1963, la 
La campana de cristal es la primera novela que leo de ella, pero me ha descubierto a una autora de una sinceridad brutal, su mirada encubierta en su personaje, de una lucidez y una frialdad terrible y hermosa al mismo tiempo. Muestra sin disfraz que las cosas más sencillas de la vida pueden ser proyectos imposibles para aquellas personas encerradas bajo esa campana imaginaria. El símil es demoledor. 31 años, una corta vida según lo podríamos ver nosotros, pero toda una eternidad que pesa como una losa para aquellos que no pueden soportar el peso de la misma. La sensibilidad de esta mujer invita a sumergirse en sus escritos, en sus poemas, que te arrastran de lleno a su corazón y su mente. Poesía confesional la nombraron algunos, en ese afán de tener todo clasificado, como si el hecho de poner una etiqueta nos diera la seguridad de que lo que leamos allí, ya está catalogado, ya no puede hacernos daño. Se equivocan. Sí que puede, la poesía que son trozos de una misma no se puede maquillar con clasificaciones ni etiquetas, siempre nos va a arrastrar al pozo de donde salieron, nos va a obligar a asomarnos al brocal y mirar dentro para que, aunque solo sea un instante, nos muestre lo terrible y hermoso que es vivir.
Rafael Becerra 

12 April 2021

MOLUSCOS de Marina González & Indiana Caba




Moluscos
es un poemario creado a distancia por dos personas que nunca se han visto cara a cara. Marina, la escritora de los poemas, descubrió por internet las fotografías de Indiana y le propuso hacer un proyecto conjunto donde imágenes y concepto entraran en diálogo. La distancia nunca fue un impedimento para llevarlo a cabo: “Moluscos” es el resultado de un intercambio de sensibilidades, donde dos jóvenes mujeres hablan sobre intimidad y emociones a través de las palabras y la fotografía. Un encuentro que sacó a la luz un libro intimista, una cita con el interior de cada una, con su día a día, con todo lo que les rodea e inspira. Un poemario sobre lo cotidiano y su trascendencia.


MARINA GONZÁLEZ. Valencia, 1985 Licenciada en Historia de Arte y especializada en Restauración de Pintura Mural. Soy una persona que observa la realidad a través de imágenes, y eso se observa en mis poemas: me fijo en la trayectoria de un gesto, la duración de una mirada, la temperatura exacta del café que me bebo, el significado oculto de los comentarios. Ando deprisa por las aceras, me acuesto demasiado tarde, bebo café, mistela y horchata. Evito la violencia física pero a veces puedo ser cruel con la boca, las palabras. Soy un poco patosa, pero no despistada. Me gusta estar guapa, pero me agobia el exceso de maquillaje. Me enganchan las historias que me cuenta el cine, pero prefiero imaginarme las situaciones. Por eso me gusta leer novelas. No soy muy romántica pero me considero una sentimental. Me gustan los detalles. Cada día dudo mejor. Soy más frágil de lo que parece, más ignorante de lo que me gustaría. El arte me completa, ilustra mi vida. Me gustan las calles húmedas, la música sonando, los gatos durmiendo a mi lado. Soy normal y corriente. Una mística de andar por casa. Desde la publicación de la primera edición de este poemario, Marina ha publicado tres libros de poemas y uno de relatos: Relatos: Mutagénesis (El Doctor Sax, 2019), Poesía/Relatos: Puro Buitre (El Doctor Sax, 2018), Poesía: Todos los Astros (Kindle, 2017), Poesía: Enjambre (En Huida, 2015), Poesía: Moluscos (Primera edición, autoeditado, 2013).

INDIANA CABA. Zaragoza, 1987 he vivido en tres países distintos, multitud de casas y durante varios años fui nómada mientras recorría el mundo. Ahora vivo en una casa rural en los Valles Pasiegos (Cantabria) y dedico el tiempo a crear en mi taller y cuidar del terreno, el huerto, mi hija, dos perros y tres caballos. Mi amor por la fotografía analógica persiste, aunque con frecuencia no puedo resistirme a la mágica instantaneidad de la cámara de mi teléfono. Desde hace más de 15 años no salgo de casa sin una cámara, siempre cambiante y casi siempre de segunda mano que bien puede ser una Pentax MX, una Olympus MJU II o una Nikon F65. Con ellas documento las pequeñas cosas del día a día, rutinas de las cuales muchas veces no somos conscientes de la belleza que albergan.





10 April 2021

Una esvástica en la cara de Luca Buoncristiano - por Rafael Becerra (Español)



¿Dónde está mi padre? ¿dónde está mi madre? La que dicen y redicen que me cambió por unas cervezas ¿Porqué este ansía de las instituciones por controlar mi educación? ¿Porqué tantas leyes como cadenas?  Comienza el viaje a la mente del asesino ¿Pero?¿qué asesino? Manson no mató a nadie, lo convirtieron en el chivo expiatoria de un sistema represor contra todo un movimiento cultural a finales de los sesenta. El tipo desde luego no era un santo, como tantos otros, un marginal desubicado, un delincuente juvenil oportunista en busca de un destino que le fuese favorable. En su persona se condensa la desorientación de una generación en busca de si misma, enfrentada a un gigante sin piedad a la hora de aplastar cualquier crítica o intento de cambiar las cosas.

Luca Buoncristiano nos introduce en la mente del más infame asesino de masas de todos los tiempos según los titulares de los diarios sensacionalistas americanos durante décadas. A través de las entrevistas que concedió, el autor nos invita a un viaje alucinado de un actor secundario dentro de su propia vida, donde el personaje fagocita a la persona. La irremediable víctima de un sistema que no estaba dispuesto a dejar que nadie, y menos un hippie, (cosa que Manson no era) hiciera temblar los cimientos de la democracia (siempre tan demócrata) americana.


Músico, ladrón, ideólogo, inadaptado, poeta, beatnik. Heterodoxo exponente de una época controvertida y cambiante cuyas heridas todavía duelen y cuyas brasas aún resplandecen.

Un paso más para entender las claves de un gigante implacable cuyo mayor enemigo fueron siempre los díscolos hijos que crecieron en su seno. La guerra más grande llevada a cabo por los EEUU fue siempre contra su propia estirpe. Un dato del que han tomado buena nota todos los países cercanos a su órbita.

Condenado por conspirar para cometer los asesinatos Helker Skelter de Sharon Tate y sus amigos el 8 de agosto de 1969 y los de Leno y Rosemary La Bianca a la siguiente noche. Un juicio y una acusación que hacían aguas por todas partes. Una historia que ha hecho millonarios a los ideólogos de películas, especiales de televisión, camisetas, libros.

Un relato que aporta su granito de arena para entender la contra-cultura americana en uno de sus grandes protagonistas. Totalmente recomendable, para comprender los mecanismos del poder político, que no tiene reparo en devorar sus propios principios.

Rafael Becerra

05 April 2021

POBRE BLANCO de Sherwood Anderson por Rafael Becerra

 


¿Cuándo te atrapa el progreso? ¿de qué forma se apodera de ti? Te rodea, te acorrala y difícilmente serás capaz de notar su silenciosa invasión, el primer golpe suele ser estrepitoso, como en una fiesta, cambia todo y de repente te invade la felicidad. La prosperidad está a la puerta, a partir de entonces todo será diferente, poco a poco, llevados de la mano de los más atrevidos nos sumergimos en el futuro. Hasta el punto de que pasado un tiempo los cambios más sutiles te pasarán desapercibidos, aceptarás las azucaradas mejoras como antes aceptabas la más ruin de las ignorancias. Entonces estás atrapado, intentar regresar es imposible, y solo te queda aceptar y firmar tu rendición.

Hugh Mcvey nacido de la pluma de Anderson se muere por agradar, por sentirse integrado y reconocido en el pequeño pueblo donde vive. Anhela el amor, la normalidad. Y se sirve de su ingenio para hacerse acreedor de tan volátiles tesoros. Construye una máquina que facilita la vida de la pequeña localidad agrícola, se gana el prestigio, pero en realidad es devorado por la industrialización imparable de la época que le ha tocado vivir. El retrato de ese avance implacable es el relato contenido en la novela: Pobre blanco. Las pasiones de sus protagonistas, la tragedia invisible que flota en el ambiente de prosperidad. Y la caída de todo el que se interpone en su camino.


Sherwood Anderson, autodidacta, no provenía de círculos académicos, sino que se formó rodando por Estados Unidos, una infancia itinerante de pueblo en pueblo, de colegio en colegio. Luego, la firme voluntad de ser escritor, de forma natural, inconformista, logró encandilar a la crítica con su colección de cuentos: Winersburg, Ohio. Pero ante una vida anterior de privaciones y calamidades, llegado su éxito y convertido en escritor famoso, no tarda en creerse su propia historia y en formar parte de una élite donde el trabajo más arduo es vigilarse unos a otros, mantenerse a salvo de las críticas y permanecer toda la vida en el candelero. En este punto la frescura da paso al hastío, la originalidad se vuelve mediocridad, y la caída es un abismo demasiado cercano. Faulkner lo retrata en su novela Mosquitos, donde no sale bien parado:

“Nuestra vida artística en Nueva Orleans me gusta, tiene una especie de encantadora futilidad” Su personaje Fairchild, caricaturizado de Anderson, provocó el enfado de éste, y el distanciamiento de los dos colegas, tal vez Faulkner trató de salvar a su amigo, de rescatarlo de una vida superficial que parloteaba sin parar sobre arte, sexo, literatura, sin profundizar en ninguna de sus opiniones. Sea como fuere, Sherwood Anderson fue víctima de aquello que supo denunciar tan bien en sus primeros libros: El progreso. Fue testigo de un cambio que lo acabó fagocitando y convirtiendo en alguien que nunca fue, pero que deseó ser desde su lejana e inestable infancia.

01 April 2021

I DIARI DI ADAMO ED EVA di Mark Twain recensito da Rafael Becerra (Traduzione di Silvia Pantò)

La Genesi non ci racconta nulla di loro. Si concentra più che altro sul Creatore, questo dio maldestro e crudele con i suoi capricci, ai quali vengono sottoposte tutte le creature. Tra le più disgraziate, viste le aspettative che aveva riposto in loro, Adamo ed Eva.

Chi gli ha mai dato voce? Chi si è mai sforzato di capire la loro difficile situazione di giovani ignoranti e innocenti, due bambini dalla mente malleabile e ancora priva di valori, costretti a scoprire il mondo da soli.

È per questa ragione che Mark Twain ci offre un bellissimo libro nel quale Adamo ed Eva si raccontano attraverso i propri diari. Attraverso questi, Twain immagina il loro processo di apprendimento, il conoscersi l’un l’altro, indagando sullo scontro di personalità che li ha condotti alla comprensione reciproca, alla vicinanza, alla mutua ammirazione, all’amore. Sentimento inventato da queste due creature, che con questa innovazione sono riuscite a superare proprio il Creatore, che dimostrava invece di esserne carente. Si può dunque colpevolizzare in maniera così esagerata due bambini incoscienti delle proprie azioni? Solo un essere, o un ente pieno di risentimento può farlo, solo un represso, passivo-aggressivo agirebbe in tale maniera. Fu così che quelle creature mosse dalla curiosità, hanno reso la loro specie così grande, disobbedendo. Lo fanno con l’incoscienza, figlia della totale mancanza di malizia e di esperienza, il rifiuto dell’irrazionalità. Come avrebbero potuto scatenare l’ira di dio, se non infischiandosene degli effetti delle proprie azioni, in modo insolente e spavaldo?


La Genesi ci presenta due personaggi ignorati, ma la cui storia è nota a tutti, creati per giustificare gli schemi di una religione che fallisce di fronte ad un analista (Twain) mosso dall’amore e dalla compassione per le creature confuse. Ci mostra un punto di vista che nessuno ha mai considerato, al principio dei tempi. Una giustizia storica necessaria e poetica. Una freccia intelligente che abbatte la nostra erronea capacità di dare le cose per scontate e di crederle vere così per come ci sono state raccontate. La bellezza di questi diari ci riconcilia con l’innocenza, ci invita a guardare con occhi differenti la persona con la quale conviviamo. Ci immaginiamo disperati in questo paradiso di solitudine che trabocca di qualsivoglia benedizione tranne una: l’amore. Questo strano sentimento che caratterizza l’esistenza umana. Questo soffio di effimera felicità contro il quale lottano alcune religioni monoteiste che sminuiscono un sentimento che non possono comprendere, e men che meno accettare, senza ostacolarlo, consapevoli che potrebbe far crollare il loro potere.

Questo è un libro da riscoprire, da rileggere, un libro bellissimo che ci strappa un sorriso, perché rilegato con un filo sottile di ironia.

Mark Twain esplora le possibilità che offre il racconto biblico per immaginare le reazioni di due esseri condannati a capirsi; non lo presenta come un castigo, ma come un’opportunità per analizzare la necessità di una controparte, in un mondo vergine e solitario. Che ne sarebbe di tutta l’esperienza, di tutte le scoperte, di tutti i dubbi, se non avessimo qualcuno con cui condividerli? La grandezza della solitudine in un mondo selvaggio finirebbe per divorarci. Nel racconto non ci sono critiche, i due giovani sono costretti ad abbandonare il Paradiso e prendendo atto della nuova realtà, senza giudicare chi per primo li aveva giudicati, cacciandoli. Continueranno a coltivare la loro innocenza, scoprendo il mondo esterno e le sfaccettature delle loro personalità, accettando il loro destino, tanto da far pronunciare ad Adamo queste immortali parole: «Ovunque lei fosse, lì era il Paradiso».

Rafael Becerra