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05 June 2021

#6 PRETARA CASTELLI. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato

 


In viaggio con Sangue e Latte, di Gaia Russo Frattasi ed Eugenio Di Donato un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.

Ai piedi e sopra il Sasso di Pretara ho passato un numero enorme di pomeriggi. Ci venivo con Tommaso, con Gilberto, Con Gabriele Schirano e anche con mio fratello. Venti, Venticinque anni fa. Ci sono arrivato in auto, con il furgone, in bici, in auto-stop. 

A Pretara ci si andava da soli, a fare i traversi quando non si aveva una compagno con cui scalare. Ci si andava a provare la mitica Pino la Rana, un 6b ammanigliato sotto la pancia del Sasso. 

Una via che a guardarla sembra impossibile da salire e che invece si riesce a scalare. Una via che oggi per la sua difficoltà fa ridere ma che nel ’95, in provincia di Teramo, non era affatto scontata. All’epoca non c’erano molte falesie chiodate nella provincia. E anche Pino la Rana oggi chiodata a fittoni resinati era protetta con un paio di cordini, due cavetti d’acciaio morsati intorno a una clessidra e un unico spit da 8 mm prima di arrivare in catena. 

La prima volta che ho salito Pino La Rana è stata una grande, grandissima, soddisfazione. L’ho imparata guardando Gilberto. Eravamo in pochi a salirla nel ’95. Eravamo in pochi a scalare. All’epoca almeno a Teramo, ma credo in Abruzzo non esisteva ancora la resina. 

Ci sono stato decine e decine di volte a Pretara, centinaia, senza esagerazione, davvero tante, ma non ero mai andato a vedere i lavatoi. Per noi arrampicatori Pretara era il Sasso. Il mondo cominciava e si esauriva intorno al Sasso. Un sasso che oggi non basta più, e che non bastava nemmeno allora, è, in effetti, una miniatura di falesia, ma resta bellissimo, piantato lì a un metro dal fiume, e con la sua via più difficile, La Sud del Camicia, un ostico 7a dà ancora del filo da torcere. 

Su Castelli avrei molto da dire, è il luogo insieme a Milano dove ho trascorso più tempo, per ora mi taccio e lascio raccontare gli scorci del filmato.


LEGGERE DOVE NON SI LEGGE from Gaia on Vimeo.

01 May 2021

#1 ARSITA. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE: In viaggio con Sangue e Latte - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato




Leggere dove non si legge è un esperimento.

Porta il libro nelle piazze, nei lavatoi, nei bar, alle fontane. Là dove non te lo aspetti. Dove per abitudine e costume non siamo abituati a pensarlo. Come se il libro avesse dei posti specifici dove comparire e non si potesse leggere ovunque.
Leggere dove non si legge rompe con la tradizione che costringe il libro nelle librerie e nelle scuole. Che ne fa un soggetto per pochi, qualcosa per addetti ai lavori.
Pensa che il posto migliore per un libro siano le mani del lettore. Qualunque lettore. Di ogni ordine e grado, nazionalità, etnia, sesso, genere e religione.

E allora ce lo porta. E immagina acquedotti, fontane pubbliche di lettura. Luoghi accessibili dove il lettore possa soddisfare la propria sete.

Immagina che il leggere, il costruire spazi di conoscenza attraverso la parola scritta, diventi un gesto quotidiano.

Leggere dove non si legge è un viaggio in dodici puntante. Dodici tappe con il romanzo Sangue e Latte, l’editore El Doctor Sax, l’autore Eugenio Di Donato e la regista Gaia Russo Frattasi che vi racconterà con l’occhio della sua telecamera il territorio che abbiamo attraversato. Le strade divelte e i paesaggi mozzafiato, le case tagliate in due dal terremoto e i ponti puntellati, serpenti e mandrie che pascolano nella notte in un concerto di campanacci, i bar di paese e le fontane. Gaia Russo Frattasi racconterà le persone e gli spazi in cui abitano, racconterà un contesto e la sua lingua. Vi mostrerà come un libro possa essere preso in mano senza timore, in situazioni le più svariate e come l’atto di leggere sia più vicino alla persone di quanto non ci si sia abituati a pensare.




PRIMA TAPPA: ARSITA

Si parte da Castelli, in provincia di Teramo, dove faremo base per qualche giorno. Gaia non conosceva Castelli, non immaginava di trovare alle sue spalle una parete gigantesca e selvaggia.

Mentre si guarda intorno stupita e meravigliata sulle labbra le affiora una parola primordiale.

«È preistorica» dice, senza staccare un attimo gli occhi dalle guglie che come pinne di un tirannosauro puntellano la cresta sommitale della parete. La parete è immensa, tutta spaccata, con il bosco e i prati che si arrampicano verticalissimi finché possono. Poi arriva lei, la roccia, e da quel punto della strada pare stia ancora emergendo. Sembra si muova.

«Credevo di conoscere l’Abruzzo» aggiunge e resta a bocca aperta.

Sorrido, la nord del monte Camicia ti stordisce, si impone potente e inaspettata, occupa tutto lo spazio. Sorrido di nuovo e le dico, «vedrai…», e non mi riferisco alle meraviglie paesaggistiche ma ai circa venti chilometri di strada dissestata che ci separano da Arsita. Tra Castelli Befaro e Arsita il tempo si dilata. Succede qualcosa all’aria, e sebbene non ci sia nessun cartello a segnarne i confini tu lo «senti» che hai valicato una zona. Che non è come prima. Lo spazio ti avvolge, e ti tiene. Ti stringe così forte che avverti la sua morsa per giorni.

Valichiamo fossi, schiviamo anfratti e buche che paiono voragini, l’asfalto appare a tratti e quando c’è è divelto, spaccato dalle pioggia e dai cingoli dei trattori, forma dei denti che sono gradini. Procediamo a passo d’uomo, l’auto tocca, gratta, struscia ma procede. È l’ultima discesa, porta a un ponte sgarrupato con le ringhiere arrugginite e accartocciate, sembra ci sia passato sopra qualcosa di molto grosso, sotto scorre il Fino, il fiume che dà il nome alla vallata. Siamo ufficialmente nel comune di Arsita.


LEGGERE from Gaia on Vimeo.