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05 May 2021

LA CAMPANA DI VETRO DI SYLVIA PLATH - di Rafael Becerra (Traduzione di Silvia Pantò)

 


È difficile capire le ragioni di un suicida. La scala di valori alla quale ci atteniamo normalmente non fornisce alcuna spiegazione sull'atto di togliersi la vita. In molti casi le ragioni del suicida, sono relazionate ad alcune circostanze che, unite ad una considerevole dose di disperazione, portano l'individuo a mettere fine alla propria vita, in un momento di crisi. Ma quando sono gli squilibri della mente a spingere una persona al suicidio, le spiegazioni ed i ragionamenti a riguardo sono superflui. 

La campana di vetro, è un libro più che premonitore, si potrebbe dire, perché pubblicato quasi in contemporanea al suicidio dell'autrice. Fu pubblicato subito dopo la sua morte. La protagonista del libro, Ester Greenwood, è la stessa Sylvya Plath, che narra l'intimo viaggio verso la pazzia, la successiva guarigione e reinserimento nella società. In realtà, questo reinserimento si trasformò nella sua fine. 


Da sempre, le persone che si tolgono la vita hanno attirato la mia attenzione. Un certo sentimento di rispetto e ammirazione, visto il coraggio nascosto dietro al gesto. Sono però caduto nell'errore di pensarlo come un atto premeditato. Proprio due anni fa ho vissuto da vicino il suicidio di una donna, sorella di un mio caro amico. Questa persona, professoressa, madre di due bambini, e apparentemente normale, conduceva una vita tranquilla e monotona, come quasi tutti noi, fino a quando qualcosa cominciò a rompersi nella sua mente, cominciò a dire di volersi togliere la vita. Suo fratello, senza ancora essersi reso conto dell'accaduto, mi raccontò con tristezza tutte le fasi che la donna aveva attraversato, fino a raggiungere il suo obiettivo. Ascoltare questo racconto fu sconvolgente: -Le voci mi dicono ucciditi! Credo che non c'è bisogno di soffermarsi ancora di più sul caso, già che nessuna congettura sfoderata dalla ragione ci farebbe arrivare ad una conclusione plausibile. 

Sylvia Plath si suicidò nel 1963. La campana di vetro, il suo primo romanzo che ho letto, mi ha fatto scoprire un'autrice dalla sincerità spiazzante, e il suo sguardo allo stesso tempo lucido e freddo, nascosto nelle pieghe del suo personaggio. Mostra, senza maschere, che le cose più semplici della vita possono essere progetti impossibili per quelle persone che rimangono chiuse all'interno questa campana immaginaria. La similitudine tra l'autrice e il suo personaggio è devastante. 31 anni, una vita corta per quel che può sembrare a noi, ma un eternità che pesa come un macigno per quelli che non riescono a sopportare il peso della propria esistenza. La sensibilità di questa donna invita ad immergersi nei suoi scritti, nelle sue poesie, che vi trascineranno in pieno verso il suo cuore e la sua mente. Poesia confessionale l'hanno definita, con l'ansia di classificare tutto, come se il fatto di porre un'etichetta ci desse la sicurezza che quello che leggiamo fosse catalogabile, quasi per farlo diventare innoquo, affinchè non ci faccia male. Si sbagliano. Sì, che può far male! La poesia, sono i cocci di cui si compone una persona. Non possono venire assemblati per appartenere a questo genere letterario o a quell'altra categoria, devono piuttosto spingerci al bordo del pozzo dal quale sono emersi, obbligandoci ad affacciarci e a guardarci dentro, anche solo per un istante, per vedere quanto sia spaventoso, ma allo stesso tempo bellissimo, vivere.
Rafael Becerra

20 April 2021

LA CAMPANA DE CRISTAL de Sylvia Plath - por Rafael Becerra




Es difícil comprender las razones de un suicida. La escala de valores a las que nos atenemos las personas normalizadas no servirían para establecer ni para acercar una explicación al acto de quitarse la vida. En muchos casos esas razones pueden atender a determinadas circunstancias que junto con una buena dosis de desesperación llevan a la persona a terminar con su vida, quizás en un arrebato. Pero cuando es la mente distorsionada la que lo empuja al suicidio, las explicaciones o razonamientos quedan fuera de la ecuación.

La campana de cristal, es un libro, más que premonitorio, se podría decir, contemporáneo con el suicidio de su autora: Sylvia Plath. Fue publicado tras su muerte, y su protagonista, Ester Greenwood es ella misma, narrando el viaje íntimo hacía la locura y su posterior recuperación e integración en la sociedad. En la realidad, esa integración se transformó en su propio fin.


Siempre he tenido en alta consideración a las personas que se quitan la vida. Cierto sentimiento de respeto y admiración, dada la valentía del acto. Pero he caído en el error casi siempre de pensar en ello como un acto premeditado. Hace apenas dos años viví de cerca el suicidio de una mujer, hermana de un buen amigo. Esta persona, profesora, madre de dos hijos, y aparentemente normal, llevaba una vida tranquila y monótona como casi todos nosotros, hasta que algo comenzó a romperse dentro de su mente, y comenzó ha hablar de quitarse la vida. Su hermano, incapaz de comprenderla me narró con amargura los pasos que siguió hasta conseguir llevar a cabo su objetivo. Escuchar ese relato es estremecedor: -¡Las voces me dicen mátate! Creo que no hace falta ahondar más en el caso, ya que ninguna conjetura lanzada desde la razón nos haría llegar a ninguna conclusión plausible.

Sylvia Plath se suicidó en 1963, la 
La campana de cristal es la primera novela que leo de ella, pero me ha descubierto a una autora de una sinceridad brutal, su mirada encubierta en su personaje, de una lucidez y una frialdad terrible y hermosa al mismo tiempo. Muestra sin disfraz que las cosas más sencillas de la vida pueden ser proyectos imposibles para aquellas personas encerradas bajo esa campana imaginaria. El símil es demoledor. 31 años, una corta vida según lo podríamos ver nosotros, pero toda una eternidad que pesa como una losa para aquellos que no pueden soportar el peso de la misma. La sensibilidad de esta mujer invita a sumergirse en sus escritos, en sus poemas, que te arrastran de lleno a su corazón y su mente. Poesía confesional la nombraron algunos, en ese afán de tener todo clasificado, como si el hecho de poner una etiqueta nos diera la seguridad de que lo que leamos allí, ya está catalogado, ya no puede hacernos daño. Se equivocan. Sí que puede, la poesía que son trozos de una misma no se puede maquillar con clasificaciones ni etiquetas, siempre nos va a arrastrar al pozo de donde salieron, nos va a obligar a asomarnos al brocal y mirar dentro para que, aunque solo sea un instante, nos muestre lo terrible y hermoso que es vivir.
Rafael Becerra