22 June 2020

Recensione di Una svastica sul viso di Luca Buoncristiano - di Jane T. (italiano)


Una svastica sul viso di Luca Buoncristiano

“Sono fratello di questi corridoi da più di cinquant’anni. Questi soffitti sono i miei padri. Non ho mai chiesto a nessuno di proteggermi. Dormo su una branda di parole e non ci sono quadri su queste pareti.”

Charles Manson, il criminale statunitense più famoso della storia, noto in tutto il mondo per essere stato il mandante della strage in Cielo Drive. Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, fu uccisa da alcuni membri della Famiglia Manson.
Era incinta di otto mesi.
L’infanzia di Charlie non inizia nel migliore dei modi. Un padre che non conosce e che mai conoscerà, una madre che scambia volentieri il figlio per un po’ d’alcool. Un bambino che nasce senza amore e che senza amore viene ricambiato, dove può trovarlo? Incapace di rispettare le regole che la vita ci impone, a tutti, inizia così un lungo percorso tra riformatorio e carcere, per anni, in cui affinerà al meglio la sua dote migliore: manipolare la gente.

“Sono un disertore della società. Un muto ragazzo di campagna mai cresciuto. Sono andato in prigione a otto anni e sono uscito a trentadue anni. Un bambino precoce di trentadue anni.”

Luca Buoncristiano (autore e illustratore dell’indimenticabile Libro Rotto) ci offre una piccola parte di Manson che molti di noi non vedono o si rifiutano di vedere. Ed è giusto, è difficile vedere qualcosa di umano verso colui che ha creato quella potente Famiglia che ha ucciso senza pietà persone senza colpa. Provando a non pensare a queste atrocità, ho ascoltato questo lungo monologo tra Charlie e Charlie, tra finzione e realtà, che Luca ha ingegnosamente ascoltato e riportato nel suo ultimo libro, Una svastica sul viso.

Luca Buoncristiano ha uno stile che ipnotizza. È difficile, se non impossibile, trovare un autore che distorce la verità visibile agli occhi di tutti, per mostrarcene un’altra, forse più logica della prima. Con una serie di aforismi già noti, e molte citazioni dello stesso Manson in varie interviste, Luca Buoncristiano riordina le carte in tavola per mostrarci qualcosa che in tutta questa lunga storia di Charles Manson, ci era sfuggita. Una parte, piccola, ma enorme di Charlie, che non avrei mai visto se Buoncristiano non lo avesse scritto. Prima cosa da fare quando lo si legge: matita alla mano, e sottolineare quei giochi di parole in cui Luca è ormai un professionista.



“Che cappa questa malinconia che non vuole andare più via. Ho ucciso qualcuno?”


Jane T.

17 June 2020

UNA SVASTICA SUL VISO - Luca Buoncristiano


Charles Manson è stato il criminale statunitense più famoso al mondo, noto per essere il mandante delle stragi Tate-LaBianca dove vennero uccise sette persone tra le quali Sharon Tate, la moglie del regista Roman Polanski, incinta di otto mesi. 


Con un’operazione di docufiction letteraria, frutto di un gioco tra finzione e realtà che utilizza le dichiarazioni dello stesso Manson, Luca Buoncristiano costruisce un monologo, uno stream of consciousness del Manson più intimo. 

Il risultato è un autoritratto surreale e lisergico, la disperata confessione di una delle più celebri icone del male, malgré lui. 

Luca Buoncristiano (Roma 1976) autore e illustratore, ha lavorato per radio e televisione. Ha collaborato con gli scrittori Sandro Veronesi e Edoardo Albinati ed è stato il curatore del lascito artistico di Carmelo Bene. 

Autore di Joe Rotto, apparso più dieci anni fa nel primo blog di sole illustrazioni italiano, ha pubblicato Mary e Joe Fazi Editore 2007, Panta Carmelo Bene Bompiani 2012, Libro Rotto El Doctor Sax 2017, Album Rotto El Doctor Sax 2018.



16 June 2020

SANGUE E LATTE di Eugenio Di Donato su LIBRI NELL'ARIA - Di Laura Salvadori (Instagram)






Sangue e Latte
di Laura Salvadori

Poco più di cento pagine. Pagine dense, che si appoggiano sull’anima e lì sedimentano. E covano, e prolificano e lasciano conseguenze.

La storia, scritta in prima persona, è un lungo monologo in cui il protagonista, Ludovico Travagli, parla di sé.

La storia di Ludovico non ha niente di diverso dalla storia di qualsiasi bambino nato negli anni del boom economico, in seno ad una famiglia attaccata alle tradizioni, dove l’unico dovere è il lavoro, dove si è abituati a non contare niente come individuo ma solo come uomo o donna dotato di braccia per lavorare e di un percorso prestabilito da seguire. Senza mai deviare, senza doversi interrogare su ciò che è giusto o sbagliato. Con l’assuefazione atavica a tacitare i desideri più intimi, come il bisogno di una carezza o di una semplice parola. Con il bisogno di essere approvato, di non deludere, di non tradire le aspettative. Dove i propri sentimenti sono tabù e neanche ci si affanna a conoscerli, figurarsi a dar loro una voce.

Ludovico da piccolo ha conosciuto il dolore e anche la vergogna che deriva dal non sapergli dare un nome. E’ cresciuto nascondendosi, negando se stesso, abbacinato dal bisogno di essere approvato. Sovrastato dalle figure dei nonni, creature votate al lavoro, presenti ma al tempo stesso distaccate, alle quale mostrare devozione. Deluso dai genitori, che hanno divorziato in un’epoca che disapprova il disgregarsi della famiglia. Allontanato dal suo paese prima e mandato a studiare nella metropoli poi, dove la spersonalizzazione e l’assenza di rapporti sociale imperversa. Indotto alla ricerca spasmodica di una realizzazione nel lavoro, non prima di aver accarezzato il sogno di una laurea, come atto dovuto verso chi, con sacrificio, ti ha permesso di studiare. Indottrinato dall’obbligo di essere felice e di rendere evidente queste felicità agli occhi, inquisitori ed esigenti, della famiglia.

Ludovico non ha fatto niente per sé ma tutto per gli altri. Persino il rapporto con la fidanzata, Agata, segue un sentiero già battuto.

Ed è così che Ludovico si ritroverà ad aspettare un figlio e lo perderà, subito, inspiegabilmente, vivendo la perdita come un castigo. Il nome del figlio nato morto ricorre spesso nel romanzo; Ludovico e Agata forse non sono stati degni di essere genitori. Perché un figlio non deve essere portatore di felicità, né di alcuna aspettativa per chi gli dà la vita.

Ludovico alla fine troverà il coraggio di togliersi di dosso il giogo delle aspettative e deciderà solo per se stesso. L’epilogo darà finalmente uno spiraglio di ossigeno al lettore e anche la certezza che il dolore, se condivido con qualcuno, porta spesso alla redenzione e alla libertà.

I miei complimento a Eugenio Di Donato. La sua scrittura è un soffio delicato, il cui respiro, prima debole e incerto, risale con forza le acque ferme e stagnanti verso la superficie, verso l’aria, che diventa densa di profumi e di suoni confortanti. Davvero ben fatto è lo studio introspettivo che conduce in questo suo romanzo, che è pieni di spunti, di riflessioni, di citazioni che ho spesso sottolineato per ricordarle.

Difficile staccarsi dall’idea che Sangue e latte sia un romanzo autobiografico. Se non lo fosse, è comunque profondamente intimo e indiscutibilmente il catalizzatore perfetto delle sensazioni dell’autore, del suo vissuto, del suo essere.


Sangue e latte è un romanzo in cui riconoscersi, in cui annegare i nostri ricordi e un pezzetto dei nostri dolori esistenziali, perché essere figli è un mestiere difficile, forse più dell’essere genitori. Essere figli e crescere implica la necessità di dover spezzare le catene, dolci ed infide, dell’innato desiderio di compiacere, che nasce insieme a noi e che chiede, incessantemente, di essere amati per come siamo.


Ringraziamo Laura Salvadori e la sua bellissima pagina Instagram Libri nell'Aria per averci concesso i diritti di riproduzione della sua recensione.

09 June 2020

Recensione di Sangue e Latte di Eugenio Di Donato - Di Federica Zuliani (Italiano)





«Sangue e Latte» 
di Federica Zuliani


«Sangue e Latte» è un lungo racconto di rapida e piacevole lettura. D’altra parte l’autore (E. Di Donato) adotta nella stesura uno stile conciso, quasi scarno, chiaro e scorrevole, molto equilibrato anche nell’affrontare argomenti che potrebbero diventare scabrosi: li annuncia, li sorvola, non ci insiste. Per sua ammissione si concentra sull’utilizzo e il significato delle parole, «sul senso che svelano», perché non vi siano dubbi o fraintendimenti sulla verità che egli intende riferire. Allora le parole acquistano, talvolta, la durezza di una lama che penetra a fondo nell’anima per non lasciare spazio all’inespresso o a dubbi interpretativi; diventano quasi un’autopunizione e il racconto si fa subito autoanalisi, una lunga confessione. Lentamente, con il procedere della narrazione e con l’intervento di nuovi elementi che si affacciano sul suo quotidiano, il protagonista sente sgretolarsi il muro di angoscia che lo blocca. Si rende così conto che il verbo «amare» non significa solo «dare» per gratificare chi ci sta accanto o per essere graditi, ma significa anche «prendere» in una accezione più ampia che sconfina nel «l’apprendere». Indica, dunque, la possibilità di non chiudersi in se stessi, ma di chiedere, capire, socializzare per scambiare idee, per diventare migliori e conquistare ciò che la vita può offrire. Alla luce di questa nuova consapevolezza la famiglia di origine del protagonista e sopratutto le tradizioni che considerava condizionanti della sua vita, acquistano un nuovo valore: sono riconosciute come il punto di forza dell’esistere, dell’operare per costruire il proprio futuro. «Ora … (conclude infatti) … può ribaltare il dolore e trasformare i vincoli in spinte vitali».


È interessante scoprire che il titolo del libro «Sangue e Latte» significa nella tradizione abruzzese «la nascita e la crescita» di ogni individuo. Vi sono inoltre, fra i tanti, due elementi interessanti ai fini dell’interpretazione del racconto e riguardano il cognome del protagonista: Travagli. Egli lo svela solo a fine narrazione, quando il lungo travaglio dell’autoanalisi ha portato alla rinascita e il cognome rappresenta allora la presa di coscienza della propria identità, mentre, all’inizio del romanzo, dovendo parlare del suo nome come firma sul certificato di morte del figlio, egli scrive solamente: «la mia». Questa volta il cognome celato rappresenterebbe un indizio di ciò che sarà il tema, l’argomento di tutto il racconto, appunto un travaglio metaforico.

Federica Zuliani 
Classe 1935, è nata a Sirmione; è una poetessa, pittrice e corista sezione soprano.

02 June 2020

VALENCIA WALLS & WORDS VOL. V - Pamela Vargas


La quinta y ultima versión de Valencia Walls & Words llega para cerrar un periodo de 5 años de recopilación de fotografía hechas por la ciudad de Valencia y sus alrededores, como El Saler o Fanzara (Capital del grafiti). Las imágenes de las huellas de diversos interventores de renombre y anónimos que hacen de las superficies de las estructuras de la ciudad un espacio de expresión libre y desenfrenada quedan capturadas en este libro, inmortalizando así finales del 2019 principios del 2020. Desde la sinergia entre Pam (photos & design), Uma Valencia (Urban Museum of Arts) y El Doctor Sax nace el proyecto editorial de Pamela Vargas: "Valencia Walls & Words", una muestra fotográfica sobre los muros y el arte urbano de Valencia.





26 May 2020

SANGUE E LATTE di Eugenio di Donato - di Jane T.

 


“Parlare, mettere in discussione il mio stile di vita e accettare che da solo non sarei riuscito a trovare il modo per stare bene sono le cose più intelligenti che abbia mai fatto.”

È difficile spezzare quella catena che ti fa abbracciare ogni giorno le tue abitudini, confortanti e necessarie. Quelle cose che ripeti ogni giorno, perché ne hai il controllo, conosci l’inizio e conosci la fine della tua giornata. Cambiarle richiede uno sforzo disumano che tutti siamo in grado di tirare fuori, ma per sapere che c’è, il più delle volte, dobbiamo essere messi alla prova. Uscire dal guscio sembra impossibile, mettersi in gioco fa paura, ma la prova sta proprio in questo passaggio.

Una delle cose che più amo nella lettura, è trovare quei momenti che parlano anche di me, e così è stato con “Sangue e Latte” di Eugenio Di Donato, che mi ha regalato il suo, di passaggio, quello tra il vecchio e il nuovo.
Parlare non è facile, ma farlo rende in qualche modo la vita più semplice.

Grazie Eugenio per questo piccolo gioiello.
Jane T.

24 May 2020

ARCANOS DEL DESEO - Gabriel-Aldo Bertozzi


INTRODUCCIÓN
FRANÇOIS PROÏA

TRADUCIÓN
SILVIA CAÑA GOMEZ

En esta novela, la búsqueda de la inmortalidad se entrelaza con una historia de amor. En su viaje a Egipto, el protagonista, el arquitecto Martin de Freycenet-Latour, se enamora de una nueva Nefertiti. Las aventuras contadas a lo largo de la novela tienen lugar en el otoño de 2010, en la orilla del río Nilo y en Francia (París, Chartres, Reims). 

En el camino de la existencia, el autor, como alquimista, aniquila la soledad de los seres para hacer escuchar la música del universo a través de un camino de iniciación, de emancipación. 

En la novela, el lector encontrará amor, locura, esoterismo, masonería, mito, vagabundeo y... un código para la inmortalidad. El autor, experto en técnicas de narración, las supera en el cuento para ofrecer una obra de un nuevo género. 

Gabriel-Aldo Bertozzi, autor también de la novela De vuelta a Zanzíbar, Officier dans l’Ordre des Palmes Académiques (República Francesa), es más conocido como el fundador del Inismo, un movimiento vanguardista fundado en París. Escritor, dramaturgo, artista, ha enseñado en numerosas universidades italianas y extranjeras. Dirige colecciones de libros en Francia, España e Italia y es codirector de la revista Bérénice que él mismo fundó. 

François Proïa es catedrático de literatura francesa en la Universidad G. d’Annunzio de Chieti-Pescara, Italia. Artista, escritor histórico y teórico del Inismo, ha participado en las manifestaciones más importantes del movimiento en Europa y en América y ha traducido y publicado en italiano esta misma novela, de la que ha escrito también la introducción. 

Silvia Cañas Gómez es licenciada en filología por la Universidad Complutense de Madrid y trabaja como lectora de lengua española en la Universidad G. d’Annunzio en Chieti-Pescara. Ha trabajado como traductora y profesora de Enseñanza Secundaria de lengua española e inglesa en España, Inglaterra, Estados Unidos e Italia. 

Me encontré en un río en llamas sumergido en la oscuridad. El increíble gorgoteo había incluso succionado el silencio. Sin embargo, no me horrorizó esa visión, me sentía libre, libre de cualquier temor. Una calma infinita me inundaba la mente. Mi corazón era ligero. Habían desaparecido los latidos de la esperanza. Me parecía maravilloso que yo, punto infinitesimal, condenado a morir, formase parte de tan gran potencia
Gabriel-Aldo Bertozzi


17 May 2020

GENESI DELL'AVANGUARDIA - Gabriella Giansante

Al Naturismo, sorto come prima vera opposizione al Simbolismo, seguì l’Integralismo, l’Unanimismo, il Parossismo, il Drammatismo o Simultaneismo, fermenti artistici-letterari chiamati "écoles" da Apollinaire che contribuirono alla nascita delle avanguardie storiche. I capitoli che in questo volume ne precedono i manifesti illustrano le varie poetiche espresse dai loro autori, Adolphe Lacuzon, Nicolas Beauduin, Henri-Martin Barzun e, in particolare, dal più rappresentativo Jules Romains, fondatore dell’Unanimismo. Un tema particolarmente trattato è dedicato alla querelle sulla “simultaneità” contesa da vari “padri”, divenuta poi, con la modernità, principale vessillo del Futurismo. L’opera, sostenuta da una notevole documentazione arricchita da documenti rari e inediti, risulta un contributo prezioso per coloro che desiderano risalire alle fonti dell’Avanguardia novecentesca. 


Gabriella Giansante, professore associato di letteratura francese nel Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti ha rivolto i suoi studi soprattutto ai “poeti maledetti”, al Simbolismo, alle avanguardie e alla letteratura francofona femminile. Le sue opere creative, pittoriche e scritte figurano in importanti collocazioni internazionali, in particolare nell’Ohio State University.



13 May 2020

BEGGARS OF LIFE - Jim Tully


BEGGARS OF LIFE
A Hobo autobiography  
Jim Tully

This novelistic memoir impressed readers and reviewers with its remarkable vitality and honesty. Jim Tully left his hometown of St. Marys, Ohio, in 1901, spending most of his teenage years in the company of hoboes. Drifting across the country as a road kid, he spent those years scrambling into boxcars, sleeping in hobo jungles, avoiding railroad cops, begging meals from back doors, and haunting public libraries. Tully crafted these memories into a weird and astonishing chronicle of the American underclass, in this autobiographical novel published in 1924. Tully saw it all, from a church baptism in the Mississippi River to election day in Chicago. Tully's devotion to Mark Twain and Jack London taught him the importance of giving the reader a sense of place, and this he does brilliantly, again and again. Many saw the dark side of the American dream, but none wrote about it like Jim Tully. 

Jim Tully (June 3, 1886 – June 22, 1947) was a vagabond, pugilist, and American writer. Known as Cincinnati Red during his years as a road-kid, he counted prizefighter and publicist of Charlie Chaplin among his many jobs. He also memorably crossed paths with Jack London, F. Scott Fitzgerald, George Bernard Shaw, James Joyce, and Langston Hughes. He is considered one of the inventors of the hard-boiled style of American writing. 

«Tramping in wild and windy places, without money, food, or shelter, was better for me than supinely bowing to any conventional decree of fate. The road gave me one jewel beyond price, the leisure to read and dream. If it made me old and wearily wise at twenty, it gave me for companions the great minds of all the ages, who talked to me with royal words». 

Jim Tully





12 May 2020

Libro Rotto di Luca Buoncristiano - recensione di Stefano Aiello


Colui che viene dopo il Piano A e il Piano B, un facilitatore, la virtù della necessità, l'ultima soluzione, che spesso è anche l'unica e la definitiva. Uno spacciatore, uno stronzo, un anaffettivo, un tipo che si fa i fatti suoi e pure quelli degli altri. La persona che meno vorresti incontrare e della quale al tempo stesso avresti più bisogno."La tua vita non ti soddisfa? Ti organizzo un viaggio di non ritorno. Vuoi uccidere tua madre? Segnati il mio numero. Che arma ti serve? Un'automatica? Nessun problema. La vuoi coordinata con il tuo vestito? Non c'è amore senza armamenti. Ti serve un rene? Ti posso far cucire un cuore su misura. Non faccio economica, sono l'economia. [...] Se il diavolo fa le pentole, io faccio i coperchi.
Il mondo è fatto di dipendenze, ed io sono qui per questo."

Ecco, brevemente, chi è Joe Rotto: qualcuno che viene definito dai nostri problemi, dalle nostre urgenze, dalle nostre necessità e dalle nostre vie di fuga. Un protagonista di un libro che in realtà ha come protagonista gli uomini che noi siamo, le rese dei conti di ciascuno di noi con noi stessi, chi chiamiamo quando la nostra vita va a rotoli o siamo sufficientemente disperati da commissionare a qualcuno - a lui - le nostre estreme soluzioni da attuare.
Joe Rotto non è un personaggio definibile, perché rappresentando la nostra liberazione del sé, prende continuamente forma: ogni nostro problema, ogni nostra situazione senza una via d'uscita che non sia dura e crudele ripassa i contorni della sua esistenza, e ne traccia di nuovi.

Joe è l'uomo che pago affinché uccida chi dico io, è l'uomo che pago perché mi consegni a casa droga e psicofarmaci, è l'uomo che chiamo perché rapisca una ragazza minorenne con la quale io possa fare sesso o un film porno, è l'uomo che chiamo perché soccorra qualcuno a cui tengo che è in piena overdose. E lui viene in mio soccorso. Se non ha un'auto ne ruba una, se è il caso non dorme la notte per raggiungermi, e nonostante il suo cinismo e la sua cattiveria se al momento non ho soldi per pagarlo sa anche chiudere un occhio e aspettare che io rimedi qualche banconota.

08 May 2020

John Fante, the Most Italian of the American Writers by Gabriele Nero. English Translation by Gaston Gorga





Holden Caulfield, the main character of “The Catcher in the Rye” had a very simple method for judging a writer: “(....) when you're all done reading it, you wish the author that wrote it was a terrific friend of yours and you could call him up on the phone whenever you felt like it. (...)”. Well, personally I would have spent hours listening to John Fante recounting the impossible stories about his family. I would have loved sharing a great spaghetti meal and a good bottle of wine with him, going out partying, or just having a drink together in some absurd bar in the outskirts of Los Angeles.

 The story of John Fante (as well as that of Arturo Bandini, his literary alter ego), began in the periphery of the world, in Torricella Peligna, a little village in the mountains of Abruzzo, from where Nicola Fante, his bricklayer father, emigrated at the beginning of the twentieth century to seek fortune in America. 

The Fante family settled in Denver, Colorado, in the Midwest region, on the outskirts of the American Dream. In short, in the American Abruzzo. Here, the Fante family built their own little Italy with red wine and spaghetti, gambling debts, old ladies dressed in black, Sunday masses and profanities in Italian. 

But John Fante, in spite of being in his twenties during the Great Depression, was ambitious, and never stopped believing in his talent. Both Fante and Bandini had a big dream in common: Los Angeles, California. 


In all of Fante´s stories, even those in which the main character is not called Bandini (in some novels the main character is called Henry Molise), there is always a bus to catch, a journey to begin, a place to arrive, a city where to prove the worth of Arturo Bandini, even though, paradoxically, he seldom manages to achieve this. Baseball player, Hollywood screenwriter, writer, altar boy: the protagonist of his stories always has the typical Italian presumption of being the best at everything he does, but for different reasons (a combination of fate, humble origins and his Italian origin and Catholic background certainly does not help), he is never able to prove it. After all, his father Nicola Fante would have been the best bricklayer in Denver... if only they had hired him! John 

Fante did not accomplish international fame in life. But one should not picture the typical bohemian writer who died poor and amid hardships. Eventually, thanks to his distinctively Italian perseverance, Fante was successful in the world of Hollywood as a screenwriter, and lived the second part of his life as a rich American bourgeois, with a beautiful wife, four children, a two-storey villa in Malibu and a convertible car.

“Bandini is a terrone !” (despective nickname given by the North Italians to the South Italians, to indicate their loud and brash character), said Italian songwriter Vinicio Capossela, who was one of the first Italians to discover Fante. How to blame him? Like all terroni , Bandini is stubborn, arrogant, a mummy's boy, a womaniser and a drinker, but, at the same time, he is an authentic person, generous, instinctive and full of passion. He is a professional in the art of getting by and boasting his presumed talent, even though no one has any proof of it. But he’s so adamant about it, that he ends up persuading the reader. 

Like in a transfert , the reader finds himself more convinced by Fante’s style, a master of synthesis and elegance, than Bandini’s. In Fante’s prose, the phrases are extremely short, direct and simple, and they follow one another with a frantic rhythm, somewhat reminiscent of a verdict. Reading Fante is easy. His books can be appreciated by a fourteen-year-old boy as well as a grandfather in his eighties, by an occasional reader as well as a philosophy graduate. 

Reading Fante is fun and light-hearted. Nevertheless, it also confronts the reader with the will of fulfillment of a generation shaped by history: families dismembered by the first mass migration, the Wall Street Crash of 1929 and two world wars. 

On the other hand, I believe Fante’s writings can only be fully understood by someone having directly or indirectly witnessed some form of migration. Furthermore, I don’t believe his works will ever join the pantheon of the American literary canon (being too Italian to be fully understood by contemporary America), the same way he will never be part of the Italian one (he wrote in American English, and was born in Denver, discarded!).



The Italianness of Fante reveals itself mostly as a sense of rebellion. John deeply loves the idea of the mestizo America as the land of dreams, and profoundly despises those Americans who betray these ideals, who discriminate against him, deride him and call him ‘ dago’ . To the smug rich little girl who boasts about her noble descent from Mary Stewart, the little Bandini retorts that he is the great-grandchild of Mingo, a bandit from Torricella Peligna. John idealises Torricella Peligna to the point of making it his identity refuge from where he can defend himself and counter-attack. 

Fante’s letters from Italy, collected in the book "Tesoro, qui è tutta una follia!" (It’s all madness here, darling!), where he tells of his travels in Europe between the 1950s and 1960s, are extremely amusing: his bucolic vision of post-Risorgimento Italy fades against the Americanised Rome of the Dolce Vita and the ‘ economic boom ’. While staying in Rome, Fante does not visit Torricella Peligna, despite being just over a hundred miles away, just not to risk becoming disillusioned.


It is perhaps in this non-identity, in this ego that sometimes self-deprecates and sometimes insults, at times Italian, other times American, sometimes conservative and sometimes democratic or anarchist, where the success of the literary character of Arturo Gabriel Bandini lies; unique, true and too modern even for us. 

Migrations, wars, second generations (or rather new mixed-race identities), economic crises and the consequent unemployment: these are all issues upon which we are forced to reflect today, perhaps even more than before. One can picture how forty years after his death, the voice of John Fante echoes loudly through millions of readers across the world, who discover the hidden treasure of one the greatest artists of the twentieth century. 

What I most admire about Fante, and therefore about Bandini, is his ferocious self-criticism. In fact, just when both John and Arturo seem to have accomplished their dream, they soon realise that perhaps it wasn't quite what they had once envisioned during the cold Colorado nights. Upon reaching California, they begin fantasising about a new life in Rome among ice cream parlours, Via del Corso, and thousands of small Fiat cars sweeping through the narrow streets where not even a mule with a cart would be able to get through. 


Even though Bandini had already experienced being cold and hungry during his youth, being marginalised for his Italian origins and finding himself broke and sleeping in abandoned boats by the ocean’s shore, his most bitter pages are undoubtedly those of "Dreams of Bunker Hill", where he describes the frustration of being hired and lavishly paid by a big Hollywood studio not to write. In fact, Bandini loves life too much to be locked inside an office, where he cannot write anything that satisfies neither him nor his producers. "I can't get no satisfaction" would become the anthem of the generation of Fante's children, yet, as the Stones sang, Bandini feels he is wasting his talent, and the only thing he can accomplish there is getting into trouble by seducing secretaries and literary agents. So Bandini, like a Franciscan, gives up everything and goes back to the cheap motel room he had left behind and starts writing. 

The Bandini saga culminates in the very moment that the literary character and the writer find themselves for the first time in front of a blank page and a typewriter. This is an excerpt from that moment, one of the last paragraphs that John, now blind and with his legs amputated because of diabetes, dictated to his wife Joyce in 1982: “But suppose I failed? Suppose I had lost all of my beautiful talent? (...) What would happen to me? Would I go to Abe Marx and become a busboy again? I had seventeen dollars in my wallet. Seventeen dollars and the fear of writing. I sat erect before the typewriter and blew on my fingers. Please God, please Knut Hamsun, don’t desert me now. I started to write and I wrote (...)”. 

John Fante tells us that it doesn't matter if you are Italian, Filipino or American, if you are an old person or a teenager, penniless or rich with a villa in Malibu. What matters is to stay alive, to have a California to dream of and a Torricella Peligna to always carry inside.

by Gabriele Nero 
English Translation by Gaston Gorga





07 May 2020

Sangue e latte di Eugenio di Donato - Recensioni dei lettori su Amazon



GRANDE STORIA, SCRITTURA AVVINCENTE
Tradizioni e aspettative, nonni e genitori. Case antiche, campi, icone di un mondo immobile in un tempo che non può che correre. Un figlio che non sa scegliere, perché non ha idea di quello che potrebbe davvero essere. Tanto meno di quello che davvero vuole. Sangue e latte parla di questa ricerca, dolorosa ma necessaria, racconta un uomo e quindi una famiglia, un singolo e quindi tutti noi lettori, con parole scelte una ad una perché stiano giuste vicine, come le pietre di quelle case secolari da cui tutto ha origine.

Mario Pellizzari


UN VIAGGIO NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
Sangue e latte di Eugenio Di Donato è un romanzo di formazione, non nel significato classico del termine, perché il protagonista di questa storia, Ludovico, non è un adolescente alle prese con i primi passi nel mondo adulto, ma un adulto che si muove a ritroso, verso l'infanzia e gli avvenimenti più importanti del suo passato recente, alla ricerca dei nodi della sua vita ancora da sciogliere. 

Angelica E. Moranelli



DA LEGGERE TUTTO D'UN FIATO
Eugenio Di Donato con “Sangue e latte” ci imprigiona nei suoi pensieri che sono anche i nostri, nelle sue storie in cui anche noi, in qualche modo, abbiamo camminato. Costruisce una ragnatela di parole ed emozioni contrastanti da cui non riusciamo a liberarci, un labirinto di cui non troviamo l’uscita non perché non possiamo, ma perché non vogliamo. Ci fa risentire inadeguati come quando eravamo adolescenti e forti come possiamo essere, in qualsiasi momento, da adulti. Una scrittura avvolgente, coinvolgente, delicata e allo stesso tempo sradicante, come un albero estrapolato con tutte le sue radici, come la vita quando fa al posto nostro una scelta. Definitiva e irreversibile.
La Marianne Vague


COMPRATO PER CASO, È STATO UNA PIACEVOLE SORPRESA!
L'ho letto tutto d'un fiato. Mi ha appassionato a tal punto da leggerlo in un giorno. Mi ha colpito l'immagine dell'uomo che ammette i suoi limiti, le sue paure, il suo dolore e trova il coraggio di chiedere aiuto e capire cosa non va. Ci sono molti spunti di riflessione nelle ultime pagine. Domande che almeno una volta ci siamo posti nella vita, ma sappiamo trovare tutti una risposta?
Archiviato in libreria tra i miei preferiti. Assolutamente da comprare.
Alex Senatore


EVVIVA, DIVENTARE ADULTI
Una scrittura che incastra tasselli di storie e vicende con fluidità e fa sentire con i cinque sensi e ancora più in profondità. La trovo un’opera coraggiosa che racconta un uomo capace di crescere di guardarsi dentro e che impara a comunicarlo... finalmente. Un libro che è andato a pescare anche dentro di me e mi ha commosso.
Shara Tidona

VERO E INTRIGANTE
Poche pagine per viaggiare lontani o molto vicino attraverso un’esperienza raccontata con un linguaggio fluente, chiaro,accattivante. In due ore leggi, continui a voltare pagina, divori quella storia, non è la tua , forse non è quella di nessuno o di tanti, ma poco conta perché senti che è vera la sua essenza, come la vita, irresistibilmente intrigante. Vi sorprenderà.
Andrea


FANTASTICO
Letteralmente un intenso travaglio che vi terrà incollati fino a che non lo avrete finito di leggere. 
Una piacevole sopresa che racconta una realtà dura e cruda che però lascia sperare.
Stefano


CRUDO E INTENSO
Il racconto é a tratti descritto crudamente e caratterizzato da una intensità che non si perde mai. E' un viaggio introspettivo in cui tutti possono riconoscersi, anche solo per alcuni aspetti o esperienze, ma svela un ritratto profondamente onesto delle emozioni, che non può lasciare indifferenti. Da leggere e conservare dentro di sé!
Ale






04 May 2020

CAGLIARI CAMPIONE - Enrico Romanetto & Riccardo Cecchetti

CAGLIARI CAMPIONE
Un'isola, uno scudetto, un popolo

di Enrico Romanetto

con le illustrazioni di
Riccardo Cecchetti




C'è una storia da celebrare in questo 2020:  è quella del riscatto di un popolo intero. La vittoria del primo scudetto del Cagliari. L'epopea dei suoi campioni a partire da quel Luigi Riva che da Leggiuno ha scelto la Sardegna. Per sempre. Un'epica a cui presero parte Nené e Albertosi, guidati da Manlio Scopigno, il filosofo. El Doctor Sax ha scelto di farlo con una pubblicazione celebrativa che tiene insieme la storia di quel 1969/1970 e di un calcio che non è solo un solco nella memoria. Il giornalista Enrico Romanetto ha unito le forze con Riccardo Cecchetti, che ha illustrato per immagini l'impresa che Cagliari e il suo Casteddu meritano di festeggiare nel suo cinquantesimo.


La storia dello scudetto del Cagliari è stata senza dubbio la più epica e allo stesso tempo sentimentale, che il calcio italiano abbia mai vissuto e ancora oggi rappresenta più di un simbolo per chi tifa per squadre, cosiddette, “minori”. L’archetipo sportivo di Davide che batte Golia. In questo libro celebrativo il giornalista Enrico Romanetto e l’illustratore Riccardo Cecchetti ripercorrono, attraverso il racconto e le immagini, una delle imprese sportive più romantiche di sempre: lo scudetto del Cagliari 1969-70. Rivivremo le gesta di Riva, Nenè, Albertosi e compagni, guidati dall’allenatore filosofo Scopigno, oltre all’entusiasmo che quella fantastica squadra fu capace di regalare a tutta la Sardegna, andando oltre l’incredibile vittoria calcistica. Segnando, di fatto, il  riscatto di un’isola e di un popolo.



«Non senti come suona forte? Forte come il rombo del tuono, mica lo chiamavamo così per niente. E credimi che l’ho sentito, l’ho sentito pronunciare così forte che sembrava far tremare la terra. Per quanto potesse sembrare solo un sogno, l’apparizione di Luigi Riva da Leggiuno - a cui Gianni Brera aveva cambiato il nome in quella sorta di unico fonema, quasi un’onomatopea di rivalsa - per Pibiri era assolutamente reale e si mescolava con la storia del suo ritorno in Sardegna e di una squadra. Su Casteddu».