28 June 2021

ALORS, VOUS N'AIMEZ PAS LE CINÉMA FRANÇAIS?: I surrealisti e la critica della Settima arte - Giovanni Davide Locicero

 
L’industria cinematografica francese ebbe un esordio fenomenale: grazie alle intuizioni dei fratelli Lumière le sale di proiezione si popolarono di maghi del palcoscenico, comici-poeti e misteriosi criminali. Questo almeno è il parere di Robert Desnos e Jacques Brunius: questi due artisti surrealisti del gruppo di André Breton condurranno il lettore attraverso le vicende alterne del cinema francese, destinato nei due decenni successivi a subire, prima la decadenza della produzione dell’impressionismo cinematografico, e poi la conclusione del suo ciclo vitale, che però permise l’affermazione di registi come Jean Renoir o Marcel Carné.


Giovanni Davide Locicero è nato a Messina, dove attualmente risiede. Si è laureato all’Università di Firenze, con una tesi in Estetica su Minotaure, la rivista dell’anteguerra, testimonanza dell’ultima fase del percorso surrealista. Ha poi conseguito nel 2012 un PHD nel Dottorato in Antropologia e Studi Storico-Linguistici dell’Università di Messina. Inoltre lavora nell’ambito della post produzione video.

François Proïa, professore ordinario di letteratura francese all’Università di Chieti-Pescara, si è occupato delle Avanguardie e dei poeti maledetti, oltre che di ricerche e pubblicazioni sulla la storia e la cultura francese. Dal 2021 dirige per El Doctor Sax la collana L’Écume des jours.

24 June 2021

FARSI MALE CON LO YOGA . Recensione di YOGA di Emmanuel Carrère - Enrico Romanetto



L’errore più semplice da commettere davanti alle trecento paginette di Yoga è quello di berlo come un bicchiere di acqua ghiacciata. Sensazione di fresco nell’immediato: Emmanuel Carrère è tornato. Poi gola e stomaco cominciano a raffreddarsi più del dovuto, ci si sente gonfi e si rischiano i crampi. Carrère si sfoga nel pieno di una nuova crisi di mezz’età che lo scrittore parigino non risolve nell’artificio del romanzo, con la violenza trasformata in catarsi come fa con Serotonina il suo non dichiarato antagonista letterario, Michel Houellebecq, che viene citato con un timore quasi adolescenziale. No. Carrère concede al lettore solo la possibilità di ricostruire una trama tutta immersa nel reale. Il suo. La sua vita è il baricentro egotico di tutti gli avvenimenti attraverso cui l’autore si ritrae mentre passa da un ritiro nel silenzio della meditazione Vipassana, fino al ricovero in una clinica psichiatrica e all’elettroshock. Nel mezzo, le sue manie. Prima blandite da una sorta di nuova coscienza, che l’ormai sessantenne si impone, poi combattute a colpi di scariche, annotate come in una sorta di diario esperienziale. 


Ossessioni borghesi, un po’ puerili, come quella di non riconoscersi nel grande scrittore che avrebbe voluto essere, oppure, una sessualità ancora vivace. È qui Carrère dà il meglio in termini di voyeurismo, citando anche Torino e celebrando la Holden di Alessandro Baricco come la migliore scuola di scrittura creativa. La letteratura c’entra poco, perché la vicenda non riguardo altro che una copula, mancata, con una giovane allieva incrociata durante una vacanza in Grecia. Quasi un ritiro per convalescenti agiati e pieni di guai incorniciato dall’isola in cui approdano i migranti più disperati, le cui storie diventano un’altra volta controcanto della propria vita agra come non era avvenuto A Calais. L’ultimo rigo ripaga della pazienza. Emmanuel Carrère si rivela per quello che nessuno si sarebbe atteso all’inizio. Lo stesso di prima, salvo far infuriare sicuramente più d’uno dei suoi “fedelissimi” con una scena finale in cui, davvero, dovrebbe concentrarsi tutta la curiosità del lettore. Così da scoprire perché non abbiamo tra le mani il volumetto sullo Yoga che l’autore si era ripromesso di scrivere.

Enrico Romanetto

22 June 2021

JOHN BARLEYCORN de Jack London - por Rafael Becerra

 


Una vez más el maestro Jack London escarba en sus recuerdos para ofrecernos otro libro autobiográfico lleno de aventuras de todo tipo. Pero esta vez lo hace narrando su relación intima con el alcohol, llamado John Barleycorn. Desenmascara a tan escurridizo personaje descubriendo todas sus tretas, todas las artimañas que utiliza para arrastrarte hasta el fondo del pozo y acabar contigo. Un demonio al que hay que conocer profundamente para poder sobrevivir a su abrazo y hacer que se doblegue si quieres que cabalgue contigo durante toda tu vida.

Desmadejando sus recuerdos, London nos habla de la temprana primera cerveza que lo llevó a su borrachera inaugural, y a partir de ahí, del profundo conocimiento que tuvo de tan nocivo camarada durante toda su vida. “John Barleycorn ha convertido en ruines a más hombres de los que ha llevado a la gloria” La narración que atrapa desde las primeras páginas se convierte en un catálogo del arte y la desgracia del bebedor, cuenta la ruina a la que te lleva la bebida sin control, pero también habla de la camaradería, de los momentos de euforia y los encuentros propiciados por ella, antes de caer atrapado en sus redes. Al mismo tiempo las vivencias de este gran aventurero nos desgrana una personalidad única siempre queriendo más, deseando empequeñecer el mundo ante sus ojos, esos ojos voraces, escrutadores, que almacenaban todo lo que veían para que los afortunados lectores soñáramos las aventuras de otro.


La vida alrededor de los muelles, embarcaderos, barcos de todos los calados, rutas comerciales, pirateo de ostras, tipos despreciables, y desgraciados de cualquier pelaje, pero sobre todo tabernas, saturadas de brebajes de todo tipo para demoler y doblegar mediante el embrutecimiento. “John Barleycorn destruye porque es accesible, está en cualquier calle, protegido por la ley, saludado por los policias, a quienes habla a quienes saluda y conduce a los lugares en donde sus devotos se encuentran sumidos en su ausencia”

El libro es de una honestidad aplastante, London no oculta nada, se desnuda en sus páginas para mostrar sus llagas de bebedor, los excesos de una vida en el filo de la navaja, que a la postre le pasaría factura. Una rama del árbol frondoso que fue ese gran aventurero, que exprimió su existencia para poder plasmarla en sus libros.
Las memorias alcohólicas es un relato de los que no se olvidan fácilmente, uno de esos volúmenes que se atesora con cariño y al que se promete una segunda lectura pasados unos años, justo quizás cuando nosotros mismos hallamos aprendido a ignorar o a dominar a ese espíritu burlón que nos ronda todos los días llamado John Barleycorn.

Rafael Becerra Bernal

12 June 2021

#7 PRETA. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato



In viaggio con Sangue e Latte, di Gaia Russo Frattasi ed Eugenio Di Donato un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.

A Preta non c’ero mai stato. Ci arriviamo passando per Campotosto, un paese che non esiste più. Circumnavighiamo il lago omonimo e arriviamo a Mascione. Passiamo per Capitignano e Monte Reale che con il suo nome e l’immenso viale alberato evoca grandi città reali come Torino e Caserta.
È tardi, il sole è sceso da un pezzo e Montereale è quasi deserta. Lungo il viale è aperta una rosticceria. Beviamo una birra e sgranocchiamo delle crocchette di patate appena sfornate. Di fronte a noi tre signore chiacchierano nella frescura della sera. Rifocillati continuiamo il giro quando ci coglie intenso l’odore del pane. Esplode da dietro le mura di una grossa casa in pietra, si infila potente nelle narici, riempie l’aria e corre giù lungo la via.

È il forno del paese, il forno del territorio, da qui parte il pane per i comuni in basso lungo la vallata, per il centro commerciale. Perfino per L’Aquila.

Siamo ancora stregati dal profumo del pane quando da un vicolo spunta un signore con una sedia. Si siede all’angolo con la casa del forno. Aspetta la figlia che arriva con l’ultima Corriera. Sono quasi le undici. Tutti i giorni la figlia va a Roma e torna indietro. Due ore e mezza ad andare due ore e mezza a tornare.

Il signore guarda lungo il viale deserto, guarda la piazza in fondo dove adesso sarà arrivato l’odore del pane e dove sosterà la corriera. Tra tre quarti d’ora scenderà sua figlia. Ha gli occhi vacui.

Montereale è a pochi chilometri da Amatrice.

È stato tra i primi a partire quella notte. Il primo ad arrivare ad Amatrice dal lato di Monte Reale.

Era buio, l’illuminazione era saltata, e ci ha messo un po’ a capire che il paese non c’era più. Se n’è accorto quando i fari dell’automobile hanno illuminato le macerie. Quando si è dovuto fermare perché le case erano sulla strada.
Ha salvato diverse persone quella notte, il signore è un volontario della croce rossa. Hanno caricato sull’unica ambulanza tutte le persone che potevano. Quando hanno finito le garze hanno bendato i feriti con le magliette, sistemato i cadaveri come potevano uno accanto all’altro.

Gli si rompe la voce. Piange.

Non smette di piangere.

Racconta e ripete che nel buio, tra le macerie, ne è sicuro, ha calpestato i corpi di due bambine.

Se ne vergogna, quest’uomo che ha salvato la vita ad almeno dieci persone si vergogna.

Il signore si volta, ha riconosciuto il rombo della corriera, ci guarda e per la prima volta sorride. Si asciuga gli occhi e si ricompone.


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05 June 2021

#6 PRETARA CASTELLI. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato

 


In viaggio con Sangue e Latte, di Gaia Russo Frattasi ed Eugenio Di Donato un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.

Ai piedi e sopra il Sasso di Pretara ho passato un numero enorme di pomeriggi. Ci venivo con Tommaso, con Gilberto, Con Gabriele Schirano e anche con mio fratello. Venti, Venticinque anni fa. Ci sono arrivato in auto, con il furgone, in bici, in auto-stop. 

A Pretara ci si andava da soli, a fare i traversi quando non si aveva una compagno con cui scalare. Ci si andava a provare la mitica Pino la Rana, un 6b ammanigliato sotto la pancia del Sasso. 

Una via che a guardarla sembra impossibile da salire e che invece si riesce a scalare. Una via che oggi per la sua difficoltà fa ridere ma che nel ’95, in provincia di Teramo, non era affatto scontata. All’epoca non c’erano molte falesie chiodate nella provincia. E anche Pino la Rana oggi chiodata a fittoni resinati era protetta con un paio di cordini, due cavetti d’acciaio morsati intorno a una clessidra e un unico spit da 8 mm prima di arrivare in catena. 

La prima volta che ho salito Pino La Rana è stata una grande, grandissima, soddisfazione. L’ho imparata guardando Gilberto. Eravamo in pochi a salirla nel ’95. Eravamo in pochi a scalare. All’epoca almeno a Teramo, ma credo in Abruzzo non esisteva ancora la resina. 

Ci sono stato decine e decine di volte a Pretara, centinaia, senza esagerazione, davvero tante, ma non ero mai andato a vedere i lavatoi. Per noi arrampicatori Pretara era il Sasso. Il mondo cominciava e si esauriva intorno al Sasso. Un sasso che oggi non basta più, e che non bastava nemmeno allora, è, in effetti, una miniatura di falesia, ma resta bellissimo, piantato lì a un metro dal fiume, e con la sua via più difficile, La Sud del Camicia, un ostico 7a dà ancora del filo da torcere. 

Su Castelli avrei molto da dire, è il luogo insieme a Milano dove ho trascorso più tempo, per ora mi taccio e lascio raccontare gli scorci del filmato.


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29 May 2021

#5 FONDO DELLA SALSA. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato


In viaggio con Sangue e Latte, di Gaia Russo Frattasi ed Eugenio Di Donato un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.

C’era una volta il nevaio più a Sud d’Europa.

I paesani si arrampicavano con i muli e le scuri per tagliare blocchi di ghiaccio. Ci andavo anch’io da bambino, mio padre ogni anno mi portava a visitare la fabbrica del ghiaccio. C’era neve ovunque, c’erano grotte enormi in cui potevi correrci dentro e l’acqua sgorgava in rivoli gelidi.

C’era un mare di neve. Una montagna di neve. Era il nevaio del Fondo Della Salsa, giaceva sul fondo della parete Nord del Monte Camicia. La neve è scomparsa, si fa fatica a scorgere una pozza d’acqua e pensare che qui, ai piedi del nevaio, era tutto un gorgoglio. La sentivi l’acqua, scorreva viva sotto i sassi.

Le cose cambiano, anche noi cambiamo, invecchiamo e c’è ben poco da fare. Pare sia il processo naturale.

Forse il destino del nevaio del Fondo della Salsa era quello di sciogliersi, di scomparire senza lasciare traccia se non nella memoria di chi ci ha camminato sopra e di qualche fotografia ingiallita.

Il pianeta Terra si scalda e i nevai e i ghiacciai si sciolgono. Si sciolgono a velocità inaspettate, è un dato di fatto. Accertato e misurato.

Eppure ignoriamo questo dato, di fatto facciamo finta che non esista.

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27 May 2021

EMANUEL CARNEVALI: LA DESDICHA DE LA LUCIDEZ - por Rafael Becerra


Al lector de poesía le ocurren muchas cosas. Llega un momento en que su bagaje es tan amplio que encuentra difícil sorprenderse, esto no quiere decir que no disfrute con ella, pues la variedad a lo largo de la historia es tremenda. Pero a veces se entra en un estado de conocimiento pedante que lo puede distraer de la obra que tiene delante.

Hace poco ha llegado a mis manos el libro: Molestando a América. De Emanuel Carnevali. Y puedo decir sin reparos que es el puñetazo en el estómago más fuerte que he recibido en muchos años.

Hay poetas que jalonan la historia de la poesía embarrando los jardines floridos, no abundan, y siempre rondaron los límites de la marginalidad y de la autodestrucción. A mí siempre me atrajeron como un imán, admiro la belleza, la destreza en el lenguaje, pero por encima de todo, me rindo ante la crudeza, ante la realidad versada de forma magistral. Esto tal vez tenga que ver con el devenir de mi propia vida, con una característica que la ha marcado: la decepción. Emanuel era un decepcionado. Su rastro va dejando miguitas de amargura destilada que me hace suponer un espíritu marcado a fuego, una voluntad anómica que no esperaba nada de los demás ni de la vida. Esta febril existencia tenía por fuerza que marcar herrumbrosamente su estilo creativo. Y arribando a la tierra prometida ya sabía lo que se iba a encontrar. Puede que sus compañeros de viajes soñaran con un destino definitivo donde poder integrarse y consolidar una sociedad en ciernes, pero el poeta no. Él estaba condenado a la expectación, a revelar la realidad de una fotografía sin encuadre. Podría decirse que el decepcionado nace, no se hace. Los poemas de Carnevali tienen la crudeza, la fina ironía, el desenlace, y la estructura del que aspira el aire a bocanadas en un ambiente asfixiante para poder sobrevivir. Aquí no hay bromas, se nota la seguridad del que va dominando el páramo, del que vive en el fango conociendo sus secretos.


Criado en Florencia, emigró a América con dieciséis años. La diferencia con las grandes urbes americanas como Nueva York o Chicago, ciudades despiadadas armadas como necesidad, frente a la suya propia, creada y amada por sus habitantes que la dotaban de vida propia, debió de impresionarlo de tal modo, que dio pie a su expresión poética, ajeno a modas y posturas. El rastro de sinceridad, de amargura es tal, que no sorprende el oscurantismo al que ha sido relegado. Pero esto no deja de ser una etiqueta, lo importante es la belleza que emana de su obra, imágenes crueles, sarcásticas, reales. En sus propias palabras, una confesión definitiva:

tú me devolviste por todas las cosas que te llevé
un espiritu de rebelión, 
árido, enfermizo, y estúpido.

La sinceridad acapara todos sus escritos, y sus actos, que muchos considerarán censurables. Estamos habituados por falta de empatía a juzgar con rapidez, pero todo esto no es más que una cascarilla que ponemos para no mostrar las propias armas y el alma débil y aterrorizada que nos habita.

¿Cuántos poetas? ¿Cuántos ignorados, perdidos, enterrados? La misión fundamental es encontrarlos, descubrirlos, publicarlos. Ahí está el aire a respirar. Un amigo atemporal que nos susurra ayudándonos a sobrevivir, a llevar nuestra decepción con dignidad.

Rafael Becerra 


25 May 2021

El retrato de Henry David Thoreau - por Rafael Becerra

“La verdad es que hoy en día no somos, incluidos los caminantes, sino cruzados de corazón débil que acometen sin perseverancia empresas inacabables. Nuestras expediciones consisten solo en dar una vuelta, y al atardecer volvemos otra vez al lugar familiar del que salimos, donde tenemos el corazón. La mitad del camino no es otra cosa que desandar lo andado. Tal vez tuviéramos que prolongar el más breve de los paseos, con imperecedero espíritu de aventura, para no volver nunca, dispuestos a que solo regresasen a nuestros afligidos reinos, como reliquias, nuestros corazones embalsamados. Si te sientes dispuesto a abandonar padre y madre, hermano y hermana, esposa, hijo y amigos, y a no volver a verlos nunca; si has pagado tus deudas, hecho testamento, puesto en orden todos tus asuntos y eres un hombre libre, si es así, estás listo para una caminata”.

Esto que acabamos de leer pertenece al ensayo: Caminar de Henry David Thoreau, sin lugar a dudas uno de los textos fundacionales de lo que muchos años más tarde sería conocida como la generación BEAT. Thoureau a través de sus escritos se convierte en maestro de unos jóvenes ávidos de conocimiento. El americano tiene espíritu aventurero, en todos sus antepasados hay un colono o un explorador, (también un invasor y un saqueador, amparados por su dios y su idea del destino manifiesto) hombres y mujeres que dejaron todo para encaminarse a lo desconocido de una tierra salvaje e inexplorada, en busca de una vida mejor. Walt Whitman les dedicó sus cantos, y esa idiosincrasia impregnó el espíritu de aquella generación posterior dedicada a viajar física y espiritualmente en busca del conocimiento y del propio lugar en el universo.

Henry David Thoreau, ensayista, poeta, topógrafo, fabricante de lápices, disidente nato y maestro de la prosa, nació en Concord, Massachusetts en 1817 desde pequeño ya dio muestra de su espíritu individualista y contestatario, heredado de su abuelo que fue uno de los instigadores de la “rebelión de la mantequilla” la primera protesta estudiantil de las colonias. Fue profesor y junto con su hermano abrieron una academia de gramática en Concord donde introdujo conceptos progresivos tales como caminatas al aire libre, o visitas a negocios y fábricas locales.


Fue en Concord donde conoció a Ralph Waldo Emerson, padre del trascendentalismo, y su círculo de amistades íntimo. Thoreau abrazó la nueva doctrina en un principio y colaboró en la revista que dirigía Emerson con algunos ensayos. Se convirtió en tutor de sus hijos y más tarde trabajaría en la fábrica de lápices familiar. Pero su verdadera pasión eran la literatura y la naturaleza. Años después sintió la necesidad de vivir en la misma y se trasladó a una finca propiedad de Emerson, de aquella experiencia nació: Walden, o la vida en los bosques. 

En julio de 1846 Thoreau tiene un encuentro con el recaudador de impuestos local que le insta a abonar sus atrasos de seis años. Thoreau se niega debido a su oposición a la guerra mexicano-americana y a la esclavitud, lo que lo llevó a pasar una noche en la cárcel, en contra de su voluntad, su tía pagó la fianza, a raíz de esta experiencia traumática, el joven escribe Desobediencia Civil un verdadero manifiesto a favor de un individualismo ascético y extremo, en él llega a proponer la abolición de todo gobierno, lo que convertiría a este texto en un referente para movimientos libertarios de todo el mundo. Un hombre pasional que construyó su vida alrededor de su amor por la naturaleza. Un asceta cuyos libros te llevan a buscarte a ti mismo, un espíritu libre que nos regaló una obra pura y hermosa.

Caminar es una exposición de la filosofía de deambular, la defensa de un “pensamiento salvaje”. Su ironía y el rumbo vagabundo que por momentos toman sus reflexiones, nos tonifica el alma y nos traslada una gran paz. 
Es necesario que Thoreau nos recuerde que “el aburrimiento no es sino otro nombre de la domesticación.”

Rafael Becerra

22 May 2021

#4 BISENTI. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE- di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato


In viaggio con Sangue e Latte, di Gaia Russo Frattasi ed Eugenio Di Donato un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.

Lasciamo Arsita alle nostre spalle e proseguiamo verso Bisenti. Sono le tre del pomeriggio circa, il sole è alto e il paese appare semi disabitato. Io e Gaia camminiamo tra l’intimorito e l’interdetto, ci guardiamo stupiti, sono moltissime le case puntellate e sorrette da impalcature, anche a Bisenti come a Castelli, ad Arsita e a Isola del Gran Sasso il sisma del 2017 ha inferto danni pesanti.

La chiesa, epicentro del paese, è armata. Travi d’acciaio l’avvolgono per garantirne la staticità.

Stiamo andando via, quando tre signori, tre uomini seduti a un tavolo del bar della piazza incuriositi probabilmente dalla telecamera di Gaia con un cenno della mano ci invitano a sederci con loro. Al tavolo c’è anche il parroco, un uomo giovane cordiale e spigliato. Mi ricorda il parroco di Castelli di quando ero bambino, Don Biagio, per il quale noi ragazzi del paese facevamo i chierichetti. I più fortunati durante la pasqua partivano in macchina con Don Biagio per il giro di benedizione delle case delle numerose frazioni del comune. E la macchina si riempiva di uova, di pizze di formaggio e persino di qualche buona spalla di agnello. A Don Biagio brillavano gli occhi, un po’ per i doni e un po’ per i numerosi bicchierini di vino offerti dai contadini.

Io e Gaia ci sediamo al tavolo, ci offrono un bicchiere di vino e del pecorino di Farindola tipico della zona. Una volta rifocillati il Parroco ci invita a visitare l’interno della chiesa di Santa Maria degli Angeli. Il fiore all’occhiello dell’intero paese.

Cerco di parlare dei libri, della lettura, ma non c’è nulla da fare, il parroco ha voglia di raccontare la storia dei santi che occupano sotto forma di statue i vari angoli e nicchie della chiesa.

Si è fatto tardi, il sole sta per tramontare ed è l’ora «giusta» per mostrare a Gaia, prima, il bar di Castagna Vecchia, e poi, il mitico caffè sulla provinciale al bivio per Castel Castagna.

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19 May 2021

Il ricordo di Franco Battiato scritto da Eduardo Margaretto, suo biografo in Spagna

 


A Madrid gli anni Ottanta stavano per finire. Mentre le notti di Malasaña correvano veloci, alcuni di noi avevano già intuito che la parola Movida si stava convertendo in un brand di patriots to arms  molto lontani da La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi ... mentre la movida è arrivata perfino nelle notti italiane del XXI secolo. Al tempo brancolavo nel buio cercando di scrivere la biografia di Franco Battiato. Cátedra Ediciones mi aveva dato un anticipo. Ero rimasto particolarmente colpito dalla lucidità del "pensautore" siciliano ...Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia / Che crea falsi miti di progresso / Chi vi credete che noi siamo, per i capelli che portiamo? / Noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre / Up patriots to arms, engagez-vous / La musica contemporanea, mi butta giù


Poi ricevetti una telefonata: Battiato accettava la mia intervista all'Hotel Ritz di Madrid. Io al Ritz?! Allora non avevo nemmeno i vestiti per entrarci, ma andai. «Come ti descriveresti?» gli chiesi di getto, senza pensarci due volte, mentre si stava ancora sedendo. Mi guardò negli occhi e mi disse: «Sono quello che, un tempo, si sarebbe chiamato "un uomo alla ricerca"... anche se, alla fine, non trovo mai niente». Come se la verità fosse il ritmo delle piante al sole sui balconi, o quel re del mondo che ci tiene prigioniero il cuore. La conversazione scorreva fluida fino a quando il dicografico mi tirò platealmente la manica della camicia... il mio tempo era scaduto. Battiato lo guardò accigliato: «Lascialo continuare, sa molto di me». Così presi il coraggio a due mani e gli dissi ancora: «Mia madre è nata in Sicilia, come te, a Messina, e mia nonna a Napoli». Si alzò per andarsene, mi tese la mano e mi disse: «Eduardo, prima di morire,  devi assolutamente salpare sulla barca che parte da Napoli e approda a Messina all'alba... quando ti avvicini alla Sicilia, la nebbia del mattino si dirada e ti fa scoprire cose incredibili».

Questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine  

Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri 

Non accontentarmi di piccole gioie quotidiane


Che non si parli più di dittature 

Se avremo ancora un po' da vivere 

La primavera intanto tarda ad arrivare

Eduardo Margaretto

18 May 2021

El recuerdo de Franco Battiato por Eduardo Margaretto, su biógrafo español

 


Se acababan los años ochenta en Madrid. Mientras apurábamos las noches de Malasaña algunos ya intuíamos que la palabra Movida se iba a convertir en una marca de patriotas alejada de la fantasía de los pueblos que han llegado hasta nosotros… incluso en las noches italianas del siglo XXI. Yo andaba entonces por calles oscuras intentando escribir la biografía de Franco Battiato. Cátedra Ediciones me había dado un anticipo. Me impactó la claridad del ‘pensautor’ siciliano… las barricadas en la plaza las hacéis por cuenta de la burguesía que crea falsos mitos de progreso / quién creéis que somos por el pelo que llevamos / nosotros somos luciérnagas que están en las tinieblas / la música contemporánea me deprime / y no es culpa mía si existe la imbecilidad

Y entonces recibí una llamada… Battiato acepta tu entrevista en el Hotel Ritz de Madrid. ¿Yo en el Ritz? Ni ropa tenía entonces, pero allí que me fui. «¿Cómo te ves a ti mismo?» le solté sin pensármelo dos veces en cuanto se sentó a la mesa. Me miró a los ojos y dijo: «Soy lo que antiguamente se llamaba un hombre que busca… aunque al final no encuentre nada». Como si la verdad fuese el ritmo de las plantas en los balcones, o ese rey del mundo que nos tiene prisionero el corazón. Fluía la conversación hasta que el comercial de la discográfica sin disimular me estiró de la manga de la camisa… se había terminado mi tiempo. Battiato le miró frunciendo el ceño: «Déjale que siga, éste sabe mucho de mí». Y entonces se lo dije: «Mi madre ha nacido en Sicilia, como tú, en Messina, y mi abuela en Nápoles». Se levantó para irse, me extendió la mano y dijo: «Antes de morir, Eduardo, tienes que subirte al barco que de madrugada sale desde Nápoles hacia Messina… cuando te acercas a Sicilia la bruma de la mañana se abre y descubres cosas increíbles».

Este sentimiento popular nace de mecánicas divinas 

Tendría que cambiar el objeto de mis deseos 

no conformarme con pequeñas joyas cotidianas 


Que no se hable más de dictaduras 

si aún nos queda algo por vivir

La primavera tarda en llegar

 

Eduardo Margaretto

17 May 2021

El retrato de Ernest Thompson Seton - por Rafael Becerra


A lo largo de la historia de la literatura encontramos constantemente la figura de animales, en muchos casos, humanizados. Nacidos en todas las culturas de cualquier parte del mundo, éstos se prestan a ser la voz de la sabiduría, de la bondad, o representar directamente la maldad, o la astucia. Sin embargo, más allá de la literatura infantil o juvenil, sembrada por Kipling, Disney, Lewis Carroll, los hermanos Grimm, o Andersen. Se situan otros autores que basan sus escritos directamente en la observación de la naturaleza. Entre estos, me atrevería a decir que los más certeros serían Jack London y Ernest Thompson Seton. De este último me gustaría hablar.

Nacido el undécimo de catorce hijos, en Inglaterra, a la edad de seis años, su numerosa familia se traslada a Canadá. El entorno salvaje, despierta en el niño un interés inusitado, que se dedica a observar y dibujar la naturaleza. Su familia no comparte la afición del pequeño, pero debido a una afección, es enviado a los quince años y durante el verano a una granja en Lindsay. Es allí, donde de mano del granjero Willian Blackwell y su hijo George donde el joven Ernest ve sus deseos cumplidos. Junto con George acamparon en los bosques, procurando vivir como los indios habían hecho antes del advenimiento de los rostros pálidos. De estas vivencias saldría su libro: Dos pequeños salvajes (1903) 

Sus veranos en la granja orientaron las energías e intereses de Ernest Thompson Seton hacía el estudio de la naturaleza. Fundó los “Woodcraft Indians” un grupo juvenil inspirado en la ética y habilidades de los pieles rojas. No sería un camino fácil. Pero todas sus publicaciones estuvieron dirigidas hacía la vida salvaje. Historias que el mismo describía, explicando en forma de ficción la realidad de la existencia de los animales y sus formas de pensar.



Sus historias te acercan al mundo natural bajo una perspectiva única, haciendo que te preguntes y te plantees cómo sería vivir como un animal constantemente amenazado, por ejemplo, el conejo. Un ser que pasa su vida en peligro siendo la base de la dieta de muchos depredadores. Seguimos las corredurías de perros pastores, cuya fidelidad va más allá de su propia vida. Recorremos los bosques con astutos lobos, con instintos desarrollados para escapar del hombre. Leer sus cuentos y relatos te hacen mirar hacía las ignoradas montañas de otro modo, te remueve por dentro, bajo el traje de urbanita, se despierta otro ser que te habita, las casi olvidadas voces de tus ancestros que corrieron por esos bosques compartiendo con los animales el ansía por sobrevivir.

Desgraciadamente el mundo literario lo ha relacionado siempre con cuentos para niños, las adaptaciones de sus libros a animaciones infantiles como: El bosque de Tallac fueron cruciales para encasillarlo en este género. Personalmente encuentro en esos relatos mucha sabiduría, la misma crueldad de la naturaleza se muestra sin tapujos. En ellos la vida y la muerte, la despiadada intervención humana, la desconfianza, y nuestro alejamiento progresivo y destructivo del mundo natural. Seres humanos y animales obligados a entenderse, a compartir los frondosos bosques, sabiendo cada uno de ellos donde están los límites. En definitiva, unos cuentos apasionantes que sin discusión convierten a Ernest Thomson Seton en el mejor intérprete que ha tenido el mundo animal.
Rafael Becerra 

15 May 2021

#3 IN BETWEEN. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE : In viaggio con Sangue e Latte - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato


LEGGERE DOVE NON SI LEGGE: In viaggio con Sangue e Latte - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato. un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.


TERZA TAPPA: CAMPO IMPERATORE
Si sale di nuovo da Castelli, questa volta i chilometri di tornanti sono una ventina. Superiamo Rigopiano, qualche curva in provincia di Pescara e si entra nel territorio Aquilano. Ci siamo quasi, un chilometro scarso e raggiungeremo Vado di Sole. Dopo il passo, poco più in basso, si apre il mare brullo di Campo Imperatore. Gaia mi fa fermare, accelerare, tornare indietro. Avanzare di nuovo. Vuole riprendere i faggi, in prossimità del vado, prima di cedere il passo all’erba, si diradano e il sole filtra nel mezzo. È una bellissima giornata e il chiaro scuro ti scompiglia l’anima.

Gaia con in piedi sul sedile, la telecamera puntata come un cannone fuori dal finestrino fa ancora una paio di riprese. Si volta soddisfatta e si siede come una persona normale. È un chiaro segnale che posso procedere verso Campo Imperatore, l’altopiano che da un lato è stretto dalla possente catena del massiccio del Gran Sasso e dall’altro si increspa in onde di colli e scende morbido come una pennellata verso il comune di Santo Stefano di Sessanio.

Per chi non l’ha visto Campo Imperatore è difficile da immaginare, sembra di approdare sulla luna, non c’è niente o quasi. Erba e sassi, erba a perdita d’occhio, e qualche abete sparuto che strappato dal bosco, si ritrova lì, solo in mezzo al nulla, e miracolosamente sopravvive. Cresce nano però, senza la protezione dei suoi simili il sole rovente in estate e il vento e la neve d’inverno non gli lasciano tregua.

Ci risiamo, Gaia ha rimesso i piedi sul sedile, è seduta sul finestrino con il busto completamente fuori, all’aria, e entrambe le mani sulla telecamera. Con una mano tengo il volante e con l’altra una gamba. L’auto raglia come un somaro, procediamo a passo d’uomo.


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