Dal punto di vista artistico e culturale, il Secolo Breve ha avuto un unico grande protagonista: l’American Dream. La cultura americana, anche grazie all’appropriazione di nuovi linguaggi come la fotografia, il cinema, l’arte astratta, si è autoeretta, non solo dal punto di vista economico e politico, ma anche dal punto di vista creativo, a despota del mondo. L’American Dream idealizzava la possibilità per chiunque di raggiungere il successo tramite il lavoro, un mito che mascherava profonde disuguaglianze economiche e sociali, perpetuando l’idea di una meritocrazia che ignorava privilegi di nascita e discriminazioni sistemiche, in cui il sogno serviva a legittimare lo status quo, spostando la responsabilità del fallimento dalla società all’individuo, con il risultato di far prosperare l’ideologia capitalista, colpevolizzando invece chi falliva.
Eppure il Novecento era iniziato sotto ben altri auspici. Nell’Europa prima della Grande Guerra erano nate le avanguardie storiche: Surrealismo, Futurismo, Simbolismo, Dadaismo, Espressionismo, tutte animate da uno spirito di rottura radicale con il passato, di sperimentazione e di ricerca di nuove soluzioni espressive. C’era un’energia anarchica e liberatoria, un desiderio di reinventare il linguaggio e l’arte in sintonia con il cambiamento dei tempi. Molti di questi artisti credevano nella necessità di ribaltare l’antica nomenclatura, e che la rivoluzione politica dovesse essere accompagnata da una rivoluzione estetica e culturale.
La Russia non fu da meno, e non fu un caso che negli stessi anni in cui Kandinskij stava rivoluzionando il mondo della pittura, Stravinskij stesse facendo la stessa cosa, stravolgendo quello della musica. Il Sogno Sovietico, nato prima della Rivoluzione d’Ottobre, negli anni successivi si consolidò e al contempo rivelò la propria intrinseca fragilità e la propria natura oppressiva. Dopo aver promesso un mondo nuovo, una società egualitaria e giusta, liberata dalle catene del passato imperialista, finì poi con sostituire lo Zar con Stalin. Gli scrittori di questa generazione, molti dei quali avevano accolto con entusiasmo la ventata rivoluzionaria, divennero testimoni e spesso vittime di un’utopia che nacque e si sviluppò sotto l’ombra del fallimento incombente. A differenza dell’American Dream, che con le sue contraddizioni si fondava su un’idea di progresso e di libertà, il Sogno Sovietico basò le proprie fondamenta su violenza, controllo e repressione. La collettivizzazione forzata, le purghe staliniane e la stretta morsa della censura sull’espressione artistica, trasformarono rapidamente l’utopia in distopia. Per molti intellettuali questo significò passare da un’iniziale euforia a una crescente disillusione, sfumando verso un silenzio eterno. Le biografie di Anna Achmàtova, Michail Bulgakov, Isaak Babel’, Sergej Esenin, Marina Cvetaeva e Vladimir Majakovskij hanno in comune questa tensione tra la necessità espressiva e la censura, tra la creatività e l’anonimato, tra la poesia e la morte. Questi scrittori, e altri meno noti o quasi dimenticati, vissero il dramma di un sogno tradito in partenza che si trasformò in incubo. Le loro vite e le loro opere sono la testimonianza di come l’imposizione di un’ideologia totalitaria abbia soffocato la creatività e la libertà individuale, portando alla distruzione di un’intera generazione di talenti. Infatti nell’Unione Sovietica l’unico scopo dell’arte era servire la causa del Partito, e il Realismo Socialista divenne l’unica estetica accettabile. Le sperimentazioni formali furono condannate come "formalismo borghese" e le voci indipendenti furono messe a tacere in vari modi.
In questo contesto si inserisce l’opera di recupero e reinterpretazione artistica fatta da Francesca Ricci e Kiril Bozhinov, nato da una esposizione e tradotta poi in saggio grafico in Orfani in un vuoto stellato (El Doctor Sax, 2025). In questo lavoro multidisciplinare emerge fin dalle prime tavole la perdita dell’innocenza di questa generazione di scrittori, orfani dello spirito rivoluzionario, sotto un cielo buio, che non promette nessun futuro, e senza stelle a indicare un cammino diverso. Un omaggio necessario e poetico a questi autori ingiustamente finiti nel dimenticatoio, ma che più di tanti altri lottarono per mantenere vivo il loro dissenso attraverso la poesia e la letteratura. Perché se le avanguardie di inizio secolo rappresentarono la promessa di una libertà artistica e di un rinnovamento radicale, non fu così per gli autori del primo ventennio dell’Unione Sovietica, che pur ereditando parte di quello slancio, si trovarono a operare in un contesto in cui quella libertà veniva sistematicamente negata. Il sogno di una società nuova si trasformò in una prigione per la poesia, che da veicolo di liberazione, divenne un atto di resistenza silenziosa o, nei peggiori dei casi, una vera e propria condanna a morte. Orfani in un vuoto stellato non è un semplice lavoro di riscoperta ma un progetto multidisciplinare che, attraverso il connubio di parole, immagini e suoni, vuole riaccendere questa volta celeste rimasta per troppo tempo oscurata dalle ideologie novecentesche.


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