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01 May 2020

SANGUE E LATTE - Eugenio Di Donato

COPERTINA: RICCARDO CECCHETTI



Sangue e Latte, in due parole l’esistenza. Ludovico Travagli, ragazzo introverso, cresciuto in campagna, per varie vicissitudini familiari si ritrova trapiantato in una grande città. La vita di Ludovico è segnata da alcuni eventi drammatici, e proprio il racconto di uno di questi darà inizio a una narrazione a spirale, che attraverserà momenti cruciali della sua esistenza, racconterà del desiderio di emergere per sottrarsi a un territorio, a un modo di fare, e perfino al proprio nome. Sangue e Latte affronta il grande tema della mancanza di comunicazione non solo tra generazioni diverse, ma anche fra i singoli individui, capovolgendo il ruolo tradizionale della famiglia nell’archetipo del luogo del disincontro.


Eugenio Di Donato (1976) cresce a Castelli, un paesino dell’Appennino abruzzese. Dopo la maturità si trasferisce a Milano. Si laurea in ingegneria, consegue il Phd e per anni si occupa di fisica della materia e architettura delle molecole. Nel 2016 decide di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.

«Per ora scrivo, mi concentro sulle parole. Sul senso che svelano. Sul racconto di un padre, un contadino che dissoda la terra, figlio di padri che avevano dissodato la terra, che alza lo sguardo e vede nel figlio, troppo alto e con i piedi e le mani troppo grandi, un fisico non adatto al lavoro nei campi. E per la prima volta nella catena dei padri e dei figli rinuncia a tramandare se stesso e gli dona un’altra possibilità. Mia madre mi ha spinto fuori di casa, ha agito come quel padre, anzi ha fatto di più, ha usato la sua forza per non farmi rientrare. Ha rotto la tradizione».



28 November 2019

CIELI D'ITALIA - Anacleto Verrecchia


Tipi curiosi e bizzarri s'incontrano nei Cieli d'Italia: Amilcare, così stravagante, che avrebbe dato filo da torcere a dieci psicologi messi insieme. Bastiano, tracagnotto ma agile come una faina che, non avendo nulla da fare, si metteva a contemplare l'Etna, perdendosi in fantasticherie senza fine. Pietro, lungo e diritto come un abete bianco e il suo coraggiosissimo cagnetto Fufi. Giovanni, il Fauno di Ceresole Reale, barbuto eremita del Gran Paradiso che conviveva armoniosamente con la natura e detestava gli uomini e il loro progresso. E ancora nietzscheani e wagneriani a duello in una Bayreuth dove "l'atmosfera è germanica, ma la gazzarra italiana", come scrive Vittorio Mathieu, per concludere con un epicedio di Arthur de Gobineau che proprio di Nietzsche fu il prescursore e di Wagner l’amico più caro, e che in Italia concluse la sua errante esistenza. 

Anacleto Verrecchia (Vallerotonda, 1926 - Torino, 2012) germanista e filosofo, ha vissuto fra Torino e Vienna, dove è stato per anni addetto culturale. Ha scritto numerosi libri tra i quali La catastofe di Nietzsche a Torino (Einaudi 1978), Giordano Bruno la falena dello spirito (Donzelli 2000) e Diario del Gran Paradiso (El Doctor Sax 2020) e ha collaborato con le pagine culturali de La Stampa, Die Presse e Die Welt. Verrecchia odiava la caccia, i politici, i cacalibri e i preti; invece amava molto Schopenhauer, la natura, le montagne, gli alberi monumentali e lo sguardo nobile degli animali. Lavorò sempre al confine tra letteratura e filosofia: la sua prosa filosofica chiara, energica e spesso polemica, è stata giudicata tra le migliori scritte oggi in Italia, insieme a quella di Guido Ceronetti, Manlio Sgalambro e Sossio Giametta.

COPERTINA DI RICCARDO CECCHETTI.

«Sbucato fuori non si sa bene da dove, il Fauno era cresciuto a Ceresole Reale. "Sono un vecchiaccio della montagna", soleva dire. Degli stambecchi che vivevano più in alto, egli aveva non solo la robustezza fisica, ma anche il carattere schivo. E a chi gli rimproverava di non essere più socievole, diceva senza mezzi termini che voleva evitare l'occasione di giudicare il prossimo. "Tutti i nostri mali", aggiungeva, "derivano dal fatto che non siamo capaci di starcene da soli". (...) Per amore dell'indipendenza, non volle mai abbandonare i suoi monti e scendere in pianura, in mezzo a quelli che chiamava"i disgraziati della città". Aveva un'individualità troppo forte per confondersi e amalgamarsi con gli altri». 

Anacleto Verrecchia





22 October 2019

MUTAGÉNESIS - Marina González & Manuel Garrido



Mutagénesis es un libro de relatos sobre la supervivencia que escribe Marina González e ilustra Manuel Garrido. Una de sus cualidades es el hecho de mantener precisamente ambas formas: el texto y la ilustración en plano de igualdad, es decir, sus imágenes no están supeditadas a lo escrito. Se trata de una apuesta experimental en la que prima lo expresionista y la plasticidad a través de cuentos heterogéneos y linograbados. 

La autora nos presenta unos relatos que podrían catalogarse como prosa lírica, haciendo eco de su vocación poética. En cada una de las historias encontramos imágenes potentes que vienen de una particular visión de la condición humana y exponiendo la hondura a través de lo cotidiano, recordando a la mejor Clarice Lispector y sus personajes femeninos, caseros, pero al mismo tiempo mágicos, o una nueva forma de hallar fantasía en la cotidianidad. 

Marina González (1985) es una escritora valenciana radicada en Lisboa. Su voz a veces busca trazar una cínica descripción del mundo que se deshumaniza paulatinamente. En ella vemos homenajeados referentes de la poesía universal: Safo y Dylan Thomas, de Pessoa y de Emily Dickinson, y que no obstante conserva su propia originalidad. Con El Doctor Sax editorial también ha publicado su cuarto poemario Puro Buitre (2018).











29 January 2019

18 September 2018

PURO BUITRE - Marina González

Con Puro Buitre, su cuarto poemario, Marina González (Valencia, 1985) marca una fractura importante respecto a su producción poética anterior. Es un libro desencantado, traspasado por el desasosiego y sumergido de lleno en las tintas atlánticas de Lisboa, donde la autora vive desde hace unos años. Puro Buitre empuja al lector desde la primera página hacia el lado más oscuro y animal de la condición humana, dejando tras de sí pocas posibilidades de redención. 

La voz de Marina González es un grito de dolor, y al mismo tiempo la cínica descripción de un mundo que se deshumaniza paulatinamente. Es una voz en la que retumban los ecos de la poesía universal: ecos de Safo y Dylan Thomas, de Pessoa y de Emily Dickinson, y que no obstante conserva su propia originalidad. 

La autora pinta cuadros poéticos neo-expresionistas, enmarcando la poesía dentro de lo cotidiano y creando coloridos contrastes entre mundos postizos y sentimientos verdaderos, entre las miserias humanas y lo más elevado de nuestra existencia: la poesía. 

«Hay un pajarito aplastado en el asfalto. Un círculo de masa y dieciocho plumas. El viento todavía simula movimiento. Vivió a la intemperie, como todos». 




20 July 2018

07 May 2018

OPERA INIQUA - Federico Febbo

Charme è un trentenne di origini francoprovenzali trapiantato dalla Savoia in Italia, al di sotto della presa di coscienza artistica, sociale e politica dei suoi tempi. La sua storia ha inizio con un viaggio da Roma verso la necropoli di Vulci, su una nostalgica carrozza assieme ai suoi facoltosi amici Aronne e Cleto, due intellettuali ostinati, saturi dell’idea che ciò che ci lasciamo dietro ogni giorno è più prezioso di quello che conquistiamo. Sarà il sospetto finale di questa gita a dare l’abbrivio al romanzo, in cui Charme, invaghito dalla presunzione di essere uno scrittore d’ingegno, si accompagnerà a personalità letterarie e politiche arrivando a sostituirsi a loro. Da falso artista per un falso pubblico a sindaco di un paese di provincia, da facchino a segretario particolare del Presidente della Repubblica Italiana, la convalescenza di Charme verrà turbata da una malattia mentale evidente eppure equivoca. I suoi confortevoli ideali, e un grado di talento pari alle capacità più comuni dei suoi simili, lo spingeranno davanti a una scelta tra passioni e feroci ambizioni. Incontrerà sulla sua strada un morto apparente tra i vivi di professione come il poeta Sabatino Rivoli, oppure il Capo dello Stato; così il giovane sostituirà la grande fatica del vivere a un impegno impossibile: la pretesa di diventare un educatore del Paese. Conoscerà asceti del pressapochismo, giornalisti straccioni, democratici e insurrezionalisti simili a maghi e guaritori sorretti da un livello di alfabetizzazione reciproca. Tutti lotteranno ricavandone un dubbio guadagno, pur di ottenere il vantaggio della certezza di esistere. Alla fine del racconto questa dedizione alla propria esistenza e alla ricerca della salute, ci condurrà di nuovo al sepolcreto di Vulci, là dove qualcosa tra l’infermità e il divino aveva dato inizio al lungo anno di Charme Genetti, completando questa testimonianza con il sospetto che nella testa possa esserci qualcos’altro che non il solo pensiero, e riuscendo da ultimo a ottenere una risposta della quale il lettore è meglio che non domandi.

Federico Febbo è nato a Roma il 14 maggio del 1976. Ha lavorato per l’Università Pontificia Gregoriana di Roma, per il Museo Signorini Corsi a L'Aquila, per la Casa Museo Mario Praz e per la Mirabilia Art Gallery. È stato assistente della gallerista Carla Panicali (il Segno, la Marlborough, l'Isola a Roma, Panicali Fine Art e Art for Architecture di New York) ha tradotto conferenze e interviste di Jacques Lacan, Emil Cioran, Mircea Eliade, Gilles Deleuze e Pierre Klossowski. Ha scritto per riviste d’arte e cultura come Estra, Urbis et Artis, Mito Roma ed ha pubblicato romanzi sotto pseudonimo. Il primo lavoro inedito dal titolo Tramonto Italia, e Opera Iniqua, sono stati pubblicati sulla rivista “Il Primo Amore” diretta da Antonio Moresco. Attualmente lavora nella Galleria d’Arte Pulcherrima di Roma.