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13 November 2021

VALE UNA VITA: Valentino Rossi, l'ultimo eroe! - di Gabriele Nero

 


«Quanti anni avevate nel 1996?» Questa è la domanda che dovete porvi per capire lo stato d’animo di chi si appresta a salutare uno dei più grandi campioni dello sport di tutti i tempi: Valentino Rossi.

Alcuni di voi non erano nati, altri ancora nell’età in cui si ha poca coscienza. Io nel 1996 avevo 13 anni, era l’estate tra la terza media e la prima superiore, il periodo in cui il mondo ti si apre davanti, in cui è tutto nuovo, tutto una scoperta! Il sogno di tutti i teenager dell’epoca erano gli scooter, ovvero la rivisitazione in chiave anni Novanta del mito italiano della Vespa. Zip, Typhoon, F10 e il mitico Fifty erano gli oggetti del desiderio per un’intera generazione, e forse per vendere qualche motorino in più, la Motogp appariva negli schermi delle tv italiane.

Quelli che vi dicono di essere stati tifosi di Valentino dalla prima gara, sono come quelli che sostengono di aver visto il concerto dei Ramones a Milano: fondamentalmente dei cazzari. In quegli anni si tifava per Biaggi, come per la Ferrari, quel sentimento nazional-popolare che uno segue per inerzia. Prova del fatto che la maggior parte di noi comprava lo scooter nero rigorosamente Aprilia, come la moto di Biaggi. Allo stesso tempo tutti rimanemmo sorpresi da questo ragazzino rompicoglioni, che ad ogni vittoria metteva su degli show incredibili, mentre fino ad allora si vedeva solo il vincitore che faceva il giro d’onore, al massimo impennava un paio di volte la moto. Così ci appassionammo alle serie inferiori sperando sempre in una vittoria di Rossi per di assistere alle sue gag.


Ricordo perfettamente il momento in cui diventai tifoso di Valentino. Quando dopo aver vinto il Mondiale 250 del 1999, gli chiesero se lui fosse il nuovo Max Biaggi, e lui con estrema naturalezza rispose: «Semmai è Biaggi che deve prendere esempio da me: io il mondiale l’ho vinto quest’anno, lui no». Da quel momento fu chiaro che bisognava schierarsi. Mentre Biaggi continuava a non vincere e a mostrarsi per quello che era, un romanaccio spaccone che appena perdeva dava la colpa alla moto, nel 2000 poi si formarono dei veri e propri schieramenti: Biaggi, Capirossi o Rossi? «Io tifo per Valentino, perché è testa di cazzo!», risposi in una di quelle discussioni da sabato sera. La domenica Valentino vinse la sua prima gara in 500!

E da lì cominciò lo spettacolo! Capisco che per chi non li ha vissuti sia difficile immaginare che cosa fosse il Dottore in quegli anni! Era come assistere a un cartone animato in cui in un modo o nell’altro Valentinik, anche quando la gara sembrava compromessa, riusciva a raddrizzarla! Giocava con gli avversari con lo stesso sadismo del gatto con il topo, era attore e regista di uno degli spettacoli più seguiti del pianeta.

Fare l’elenco delle sue imprese, e della felicità che ci ha regalato gara per gara, anno per anno, diventerebbe ripetitivo, specie in questi giorni. Ci guardiamo indietro e scopriamo che sono passati 25 anni, e pure che Valentino ha vinto l’ultimo mondiale una vita fa, nel 2009, ma la gente continua ad amarlo come quando vinceva a mani basse. Questo perché Valentino in questi 25 non ci ha insegnato solo a gioire delle sue gare, ma con lui siamo cresciuti, lo abbiamo visto passare da enfant terrible, a campione imbattile, capace di passare dalla Honda alla Yamaha, che non vinceva un campionato da più di 10 anni, e portarla subito a vincere la prima gara ed il titolo, diventando, di fatto, a poco più di 25 anni, un’icona, una leggenda delle moto.


In quegli anni era facile essere tifosi di Rossi, era rassicurante, bello, e spesso dopo le belle nottate con gli amici, ci si svegliava tardi la domenica passando direttamente dalla lasagna, alla partenza della MotoGp. Per tanti di noi, il periodo d’oro della carriera di Valentino ha rappresentato il periodo più bello della nostra vita. Il momento in cui si impara a farsi spazio nel mondo dei grandi, passare alla cilindrata superiore. Valentino in quegli anni era inarrestabile, ma oltre al merito sportivo, quel ragazzo simile al tuo compagno di scuola, stava dando lezioni a tutti. Le sue vittorie non erano mai banali: qualifiche discrete, pessime partenze, recupero con sorpassi mozzafiato e vittoria per distacco.

Ma per capire l’unicità di Valentino bisogna guardare fuori dalla pista. Nato da una coppia di “genitori un blue jeans”, come di moda tagli inizi degli anni Ottanta, di quelli in cui i figli chiamavano i genitori per nome per intenderci, e che puntualmente si separavano dopo pochi anni, il piccolo Vale scelse di continuare il sogno del padre, ex pilota di MotoGp, ritiratosi in seguito a un bruttissimo incidente ad Imola nel 1982. «Mi sono sempre piaciuti quelli che sanno fare qualcosa, quelli che sanno disegnare, o suonare uno strumento... io non sono capace! L’unica cosa che so fare è andare in moto e cerco di farlo nel miglior modo possibile», dichiarava il Dottore poco più che bambino: una vera e propria dichiarazione poetica! Esattamente come quella di Maradona che al tempo in cui giocava nei los Cebollitas, dichiarava che il suo sogno era giocare con la Nazionale e vincere il Mondiale.

La storia del Valentino vincente dimostrava il fatto che lo sport non è solo questioni di meri numeri ma di emozioni. Il fine non giustifica mai il mezzo, è più importante come si fanno le cose. Le persone di tutto il mondo hanno iniziato ad amare Valentino per quella sua spontaneità che, nel bene e nel male, ha saputo sempre anteporre a tutto. Ha dimostrato di poter essere il migliore senza scimmiottare nessuno, cambiando, crescendo, non diventando la macchietta di se stesso, e allo stesso tempo cambiando il suo sport, essendo un perfezionista ma senza rinunciare alle goliardate da bar!

Dal 2010 in poi, però la carriera di Valentino ci ha raccontato altro. L’eterno ragazzo diventato uomo, passò attraverso l’infortunio del Mugello, gli anni tristi in Ducati, e la perdita dell’unico amico e possibile erede nel puddock, passando a pochi centimetri e pochi secondi dopo l’impatto con l’asfalto dal corpo esanime di Marco Simoncelli. Da lì in poi molti si sono allontanati dalle moto, eppure fatemi dire che sono gli anni in cui ho davvero capito la sua grandezza, la sua tenacia e il suo amore incondizionato per le moto. Dopo quei due anni terribili, di nuovo tutti lo davano per finito, come nel 2006. Si sarebbe potuto ritirare da leggenda vivente già nel 2012, altri giovani piloti erano in ascesa con moto molto più performanti, eppure c’era quel decimo titolo da inseguire, quella chimera per un motociclista dell’era moderna, per cui dopo aver accettato, il fallimento e averci messo la faccia per l’errore Ducati, accettò di essere la seconda guida dell’”amatissimo” Jorge Lorenzo.


«Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui», diceva Jonathan Swift, e avendo parlato di idioti e Lorenzo è inevitabile parlare di Marquez e di quel maledetto 2015. Il Dottore aveva creato il suo capolavoro, 14 anni dopo il primo titolo e a 7 dall’ultimo, aveva calcolato punto su punto, piazzamento su piazzamento, e due vittorie su Marquez, uno con l’avversario che finiva a terra e l’altra con una spallata all’ultimo tornantino per cui lo spagnolo gliel’aveva promessa: «A partire da ora saprò cosa fare con Valentino». Il resto è stato poi davanti agli occhi di tutti: la gara de Philip Island, la conferenza bomba della Malesia, i primi giri killer di Marquez e il contatto-calcio, quello che volete. Il mondo che si divideva tra chi stava con Vale, e tra chi non aspettava altro da anni (dai tempi della storia delle tasse) per saltare sul vecchio leone ferito. La storia, o semplicemente la gara più vista nella storia della MotoGp ha raccontato altro: Valentino sorpassa 20 piloti e da ultimo arriva quarto; i tre piloti spagnoli uno dietro all’altro come sul tram per difendere i 5 punti di Lorenzo, che a titolo incamerato dirà candidamente: «Ringrazio gli altri piloti perché sono stati bravi; in un altro tipo di gara Marc avrebbe attaccato, ma hanno voluto che il titolo rimanesse in Spagna». Durante i festeggiamenti di quel titolo a casa sua, a Mallorca, la moto di Lorenzo andò a fuoco. Nient’altro da aggiungere.

Anzi qualcosa sì! Anche in quel caso Valentino è stato un esempio, di come davanti alle ingiustizie, quando gli idioti si coalizzano contro di te, è giusto prenderli a calci nel culo, e smascherare gli ipocriti, a costo di mettere in gioco ciò a cui tieni al mondo! Il problema era proprio quello: Valentino è cresciuto nel puddock, già con suo papà, è cresciuto in mezzo ai piloti, quelli veri, quelli con cui se c’era qualcosa da chiarire si finiva a spintoni sotto il podio, come con Biaggi, ma si correva tutti per per vincere. «Marc è tutta la settimana che dice che darà il massimo, che punterà a vincere, ma dopo quello che ha fatto oggi è veramente uno che se ne sbatte i coglioni», ovvero Valentino vittima della congiura dei bimbiminchia, ragazzini perbene, ottimi per la pubblicità dei prodotti antibrufoli, con i loro sorrisi perfetti, e già addestrati dalla tenera età alla società dello spettacolo, su ogni tipo di media. Niente a che vedere con le corse in Ape-car dandosi le sportellate per le stradine di Tavullia. Lo sport di oggi come specchio della nostra società, in cui il significato si è perso, mentre il significante è diventato solo apparenza per vendere qualcos’altro: marketing.

Marquez, ovunque vada nel mondo, al di fuori della Spagna, viene ancora oggi fischiato, perché per la sua infantile ripicca ha distrutto il sogno di migliaia di persone che vedevano in quel titolo il coronamento di una carriera unica, ha distrutto il sogno di chi viaggiando su uno scooter scassato, sognava di essere ad Assen, al Mugello o nel cavatappi di Laguna Seca: ha distrutto il sogno del Motociclismo.

Spesso quando si parla di sportivi controversi si dice che non spetti a loro educare i giovani, ma alla scuola e ai genitori. Dall’altra parte i moralisti affermano che i grandi campioni, invece debbano essere d’esempio. Per quello che mi riguarda Valentino ha rappresentato più di un esempio, ha rappresentato l’ispirazione massima, un principio etico e estetico a cui tendere sempre: “fai ciò che vuoi, fallo al massimo. Se sbagli dando il massimo, non fa niente. Sorridi, mettici la faccia e riparti più convinto di prima”. E poi da italiano all’estero, Valentino è stato un po' quello che è stato Joe DiMaggio per Fante, ma
 negli anni in cui al pronunciare la parola “Italia”, la prima reazione era una risata e la seconda “Bunga-bunga”, ha rappresentato davvero uno dei pochi momenti di riscatto per il nostro paese, al pari dell’Oscar di Sorrentino. Geni compresi in tutto il mondo, sempre un po’ di meno in Italia... chissà perché.

Durante questo quarto di secolo le gare di Valentino hanno rappresentato qualcosa di più di un semplice evento sportivo. Nei momenti più bui, quelli attraverso i quali siamo costretti a passare tutti, la gara della domenica, immaginare una nuova impresa, o nei lunghi inverni senza corse ad aspettare la nuova moto, il nuovo campionato, era un pensiero sempre positivo e di speranza verso un qualcosa di nuovo e sempre entusiasmante. E poi capisci che questo tuo sentimento estremo è condiviso da tanti altri, dalla marea gialla che sin dai primi anni ha colorato le gradinate dei circuiti di tutto il mondo.

Valentino è stato felicità e spensieratezza, ci ha insegnato quanto sia importante mantenere dentro di noi i bambini che eravamo, capaci di emozionarci per il miracolo della fisica e tecnologia che sono le moto e il primordiale istinto di voler arrivare primo. Il solo parlare di lui strappa un sorriso e fa brillare gli occhi a me come al ragazzo pakistano che lavora nel kebap. Valentino ci ha accompagnato nella nostra crescita, e con lui e forse anche grazie al suo esempio, abbiamo capito l’importanza del divertimento nel continuare a fare le cose.

«Io non avrei mai potuto fare come lui, visto che per me il gareggiare corrispondeva a vincere, a stare davanti a tutti ed a farlo costantemente. Avrei fatto un enorme fatica a correre per tanti anni senza poter essere al top, senza avere i mezzi giusti per giocarmela con i migliori» ha detto pochi giorni fa Casey Stoner, in pista il suo rivale più forte di sempre. 2015 a parte Valentino ci ha dimostrato anche quanto sia importante accettare anche il lato ludico dello sport, facendo parte del grande circus, creato da lui, pur non essendone più un protagonista principale.


Scherzando (ma nemmeno troppo) negli ultimi anni dicevo che la mia gioventù sarebbe finita quando Valentino avrebbe smesso di correre. Il Dottore ci ha regalato qualche anno in più, scegliendo di non lasciare nulla di intentato, e ora che siamo diventati adulti forse è ora di guardarsi alle spalle e vedere la grande bellezza di questi anni. No, non esisterà un altro Valentino, così come non torneremo ad avere vent’anni. E se è vero che millennio è iniziato con attentati terroristici, crisi economiche, pandemie, ci ha anche regalato improvvisi momenti di felicità grazie a Valentino Rossi da Tavullia! E sono orgoglioso di essermi svegliato alle 5.00 di mattina di domenica per vedere i gran premi del Giappone, o dell’Australia, di averlo considerato sempre come un dogma: il mio mito da quando avevo 13 anni al giorno d’oggi che ne ho 40!

Allora dove eravate nel 1996? Non avevamo telefonini, e il massimo divertimento era mettere 5.000 lire nello scooter per arrampicarci sulle strade dove giravano anche quelli con le moto vere, quelle potenti. Scorrendo l’album dei ricordi, ripensando a tutte le gare, le emozioni e il divertimento non scorriamo solo la carriera del grande campione, ma rivediamo il film delle nostre vite. Ecco accavallarsi i ricordi di estati al mare, ex fidanzate, amici che chissà dove saranno finiti, persone che non ci sono più, incrociarsi con quella gara, quella rimonta, o quell’altra celebrazione. Il 46 è stato il grande filo giallo che ha unito ricordi pieni gioia e di gioventù. Non so come sarà la vita da lunedì, e non solo quella di Valentino ma un po’ quella di tutti noi. In un certo modo, per chi lo ha seguito, ha cambiato la nostra visione della vita, ha rappresentato un modo di essere. In un mondo pieno di stronzi Valentino Rossi è stato il mio unico eroe!

Comporta movimento. Del riflesso, del pensiero, dell’attenzione, del gesto. Genera vantaggi, libidini, un pizzico di rischio, un piacere esclusivo. Il piacere di guadagnare qualcosa per raggiungere qualcosa. Un traguardo, un compimento. Velocità come eliminazione dei tempi morti, del tempo perduto, della noia, talvolta. Velocità come sistema di vivere, di vincere, di stare al mondo, essendo il mondo in piena accelerazione. È una aspirazione e, spesso, una scelta, oppure una attitudine che amplifica sensazioni, reazioni, gusto. La velocità costringe a una cura adatta, a una capacità specifica, altrimenti comporta un errore, una caduta, un rimpianto. Ci vuole testa e fisico, per la velocità. Quella padronanza che permette di apprezzare la lentezza, quando essere veloci non serve affatto» (Valentino Rossi)


Gabriele Nero
Valencia 13 Novembre 2021