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24 June 2021

FARSI MALE CON LO YOGA . Recensione di YOGA di Emmanuel Carrère - Enrico Romanetto



L’errore più semplice da commettere davanti alle trecento paginette di Yoga è quello di berlo come un bicchiere di acqua ghiacciata. Sensazione di fresco nell’immediato: Emmanuel Carrère è tornato. Poi gola e stomaco cominciano a raffreddarsi più del dovuto, ci si sente gonfi e si rischiano i crampi. Carrère si sfoga nel pieno di una nuova crisi di mezz’età che lo scrittore parigino non risolve nell’artificio del romanzo, con la violenza trasformata in catarsi come fa con Serotonina il suo non dichiarato antagonista letterario, Michel Houellebecq, che viene citato con un timore quasi adolescenziale. No. Carrère concede al lettore solo la possibilità di ricostruire una trama tutta immersa nel reale. Il suo. La sua vita è il baricentro egotico di tutti gli avvenimenti attraverso cui l’autore si ritrae mentre passa da un ritiro nel silenzio della meditazione Vipassana, fino al ricovero in una clinica psichiatrica e all’elettroshock. Nel mezzo, le sue manie. Prima blandite da una sorta di nuova coscienza, che l’ormai sessantenne si impone, poi combattute a colpi di scariche, annotate come in una sorta di diario esperienziale. 


Ossessioni borghesi, un po’ puerili, come quella di non riconoscersi nel grande scrittore che avrebbe voluto essere, oppure, una sessualità ancora vivace. È qui Carrère dà il meglio in termini di voyeurismo, citando anche Torino e celebrando la Holden di Alessandro Baricco come la migliore scuola di scrittura creativa. La letteratura c’entra poco, perché la vicenda non riguardo altro che una copula, mancata, con una giovane allieva incrociata durante una vacanza in Grecia. Quasi un ritiro per convalescenti agiati e pieni di guai incorniciato dall’isola in cui approdano i migranti più disperati, le cui storie diventano un’altra volta controcanto della propria vita agra come non era avvenuto A Calais. L’ultimo rigo ripaga della pazienza. Emmanuel Carrère si rivela per quello che nessuno si sarebbe atteso all’inizio. Lo stesso di prima, salvo far infuriare sicuramente più d’uno dei suoi “fedelissimi” con una scena finale in cui, davvero, dovrebbe concentrarsi tutta la curiosità del lettore. Così da scoprire perché non abbiamo tra le mani il volumetto sullo Yoga che l’autore si era ripromesso di scrivere.

Enrico Romanetto

03 November 2016

IL PRIMO DIO - Emanuel Carnevali

Emanuel Carnevali (Firenze, 4 dicembre 1897 - Bologna, 11gennaio 1942) rappresenta uno dei casi più singolari di letteratura dell'emigrazione. In questo intensissimo romanzo autobiografico Carnevali ci racconta il dramma di un'esistenza che non trova pace fin dall'infanzia, che lo spinge ad emigrare in America, dove il suo desiderio di affermazione si scontra contro una società che lo emargina e lo relega a umili lavori. Impara l'inglese da autodidatta e comincia a scrivere, soprattutto poesia, ma proprio quando il successo e i riconoscimenti di grandi scrittori come Sherwood Anderson e William Carlos Williams sembrano sfiorarlo, viene colpito da una forma acuta di encefalite che lo costringe a tornare in Italia e concludere i suoi giorni in un manicomio. 



"Questa era la New York a lungo sognata, questa terribile rete di scale di sicurezza. Questa non era la New York che avevamo tanto sognato, la città così cara alla fantasia, così accarezzata fra tutte le speranze che un uomo può concepire: questo sogno di chi non sogna, il rifugio di chi non ha casa, questa città impossibile. Il miserabile panorama che avevamo davanti agli occhi era quello di una delle più grandi città del mondo."