Narrano le cronache che Il gatto fu un vero best-seller dell’epoca, tanto che finì anche tra le mani di Baudelaire che lo trovò divertentissimo. In questo pamphlet emerge la visione misantropa e individualista del Rajberti, che facendo l’elogio del gatto, lo paragona con la miseria della natura umana. Con leggerezza e umorismo attraversa temi universali come la filosofia di vita dei gatti, libera e saggia, e quella degli uomini evidenziando a quanti inutili compromessi sociali questi ultimi si sottopongano quotidianamente, al pari delle altre bestie. Per 150 anni la critica si è divisa e ha provato ad etichettare Rajberti a volte come liberista, altre volte come libertario, ma noi abbiamo deciso di riproporre Il gatto a testimonianza del suo pensiero: libero!
Giovanni Rajberti nacque a Milano il 18 aprile 1805. Dai suoi contemporanei fu conosciuto come il medico poeta. Figlio di un medico di campagna ricevette un’educazione incentrata sullo studio delle materie umanistiche e classiche, tanto che per proseguire gli studi, il piccolo Rajberti entrò in seminario come novizio, ma abbandonò presto l’abito ecclesiale per iniziare gli studi di medicina all’ Università di Pavia. Si hanno testimonianze del Rajberti come medico in esercizio presso l’Ospedale Generale di Milano, fino al 1842, anno in cui a causa di alcune satire anti- austriache fu trasferito a Monza. Proprio a Monza, lontano dai fervori unitari della Milano, nei cui salotti, tra gli altri, conobbe il suo caro amico Mantegazza, ma anche Manzoni e Verdi, Rajberti visse gran parte della sua vita e scrisse la maggior parte delle sue opere. La metà della sua produzione letteraria fu composta in dialetto milanese, di notevole importanza editoriale fu la traduzione al milanese dell’ Ars Poetica di Orazio. In Italiano invece, le sue opere di maggior successo furono L’Arte di convitare, un manuale semi-serio in cui l’autore si prende burla dei convenevoli e dei luoghi comuni che si ripetono nelle cene della nuova borghesia del XIX secolo e Il viaggio di un ignorante a Parigi, una via di mezzo tra una guida e un romanzo picaresco, nel quale il Rajberti gioca fino all’eccesso con le riflessioni naif e innocenti di un pover’uomo, privo di cultura di fronte alla città che in quel momento rappresentava il centro culturale e artistico più importante ed effervescente d’Europa. Nel 1859 Rajberti venne colpito da una paralisi cerebrale che lo lasciò in stato vegetativo fino al 11 dicembre 1861, data della sua morte. I maligni videro questa malattia come una punizione divina per l’abuso che aveva fatto della parola, finché l’aveva avuta in dote; gli amici invece ebbero il rimpianto che Rajberti non avesse mai visto realizzato uno dei suoi grandi sogni: l’Unità d’Italia.
«Il gatto è cosmopolita, la sua patria è da per tutto; e fino in ciò
rassomiglia agli uomini veramente sommi e affatto eccezionali,
che sono reclamati dall’umanità intera, e dei quali enfaticamente
si dice che hanno per patria il mondo.»
Giovanni Rajberti
«Nella prossima vita voglio essere un gatto.
Dormire venti ore al giorno e aspettare che ti diano da mangiare.
Starsene seduti a leccarsi il culo.»
Charles Bukowski