05 May 2021

LA CAMPANA DI VETRO DI SYLVIA PLATH - di Rafael Becerra (Traduzione di Silvia Pantò)

 


È difficile capire le ragioni di un suicida. La scala di valori alla quale ci atteniamo normalmente non fornisce alcuna spiegazione sull'atto di togliersi la vita. In molti casi le ragioni del suicida, sono relazionate ad alcune circostanze che, unite ad una considerevole dose di disperazione, portano l'individuo a mettere fine alla propria vita, in un momento di crisi. Ma quando sono gli squilibri della mente a spingere una persona al suicidio, le spiegazioni ed i ragionamenti a riguardo sono superflui. 

La campana di vetro, è un libro più che premonitore, si potrebbe dire, perché pubblicato quasi in contemporanea al suicidio dell'autrice. Fu pubblicato subito dopo la sua morte. La protagonista del libro, Ester Greenwood, è la stessa Sylvya Plath, che narra l'intimo viaggio verso la pazzia, la successiva guarigione e reinserimento nella società. In realtà, questo reinserimento si trasformò nella sua fine. 


Da sempre, le persone che si tolgono la vita hanno attirato la mia attenzione. Un certo sentimento di rispetto e ammirazione, visto il coraggio nascosto dietro al gesto. Sono però caduto nell'errore di pensarlo come un atto premeditato. Proprio due anni fa ho vissuto da vicino il suicidio di una donna, sorella di un mio caro amico. Questa persona, professoressa, madre di due bambini, e apparentemente normale, conduceva una vita tranquilla e monotona, come quasi tutti noi, fino a quando qualcosa cominciò a rompersi nella sua mente, cominciò a dire di volersi togliere la vita. Suo fratello, senza ancora essersi reso conto dell'accaduto, mi raccontò con tristezza tutte le fasi che la donna aveva attraversato, fino a raggiungere il suo obiettivo. Ascoltare questo racconto fu sconvolgente: -Le voci mi dicono ucciditi! Credo che non c'è bisogno di soffermarsi ancora di più sul caso, già che nessuna congettura sfoderata dalla ragione ci farebbe arrivare ad una conclusione plausibile. 

Sylvia Plath si suicidò nel 1963. La campana di vetro, il suo primo romanzo che ho letto, mi ha fatto scoprire un'autrice dalla sincerità spiazzante, e il suo sguardo allo stesso tempo lucido e freddo, nascosto nelle pieghe del suo personaggio. Mostra, senza maschere, che le cose più semplici della vita possono essere progetti impossibili per quelle persone che rimangono chiuse all'interno questa campana immaginaria. La similitudine tra l'autrice e il suo personaggio è devastante. 31 anni, una vita corta per quel che può sembrare a noi, ma un eternità che pesa come un macigno per quelli che non riescono a sopportare il peso della propria esistenza. La sensibilità di questa donna invita ad immergersi nei suoi scritti, nelle sue poesie, che vi trascineranno in pieno verso il suo cuore e la sua mente. Poesia confessionale l'hanno definita, con l'ansia di classificare tutto, come se il fatto di porre un'etichetta ci desse la sicurezza che quello che leggiamo fosse catalogabile, quasi per farlo diventare innoquo, affinchè non ci faccia male. Si sbagliano. Sì, che può far male! La poesia, sono i cocci di cui si compone una persona. Non possono venire assemblati per appartenere a questo genere letterario o a quell'altra categoria, devono piuttosto spingerci al bordo del pozzo dal quale sono emersi, obbligandoci ad affacciarci e a guardarci dentro, anche solo per un istante, per vedere quanto sia spaventoso, ma allo stesso tempo bellissimo, vivere.
Rafael Becerra

04 May 2021

NONTÌSCORDÀRDIMÉ - Ivan Fassio



Nontìscordàrdimé è un libro di poesie, che ha iniziato a prendere forma nel 2019 ma purtroppo non è stato concluso dall'autore a causa di una malattia. Le poesie contenute in questo lavoro sono state scritte da Fassio tra il 2014 e il 2020, periodo che mostra una grande evoluzione tecnica e stilistica rispetto alla sua prima raccolta, già notevole, risalente al 2012. Delle indicazioni dettagliate lasciate per iscritto e altre mille eventi non riassumibili in poche righe, hanno permesso alla sua compagna Laura Callari di concludere il lavoro postumo, su richiesta dello stesso Ivan, restando il più possibile fedele alla matrice originaria del progetto. La copertina del libro è stata affidata alla maestrìa di Riccardo Cecchetti e fortemente voluta da Ivan Fassio che gliela chiese inviandogli una foto scattata lungo il Po, sapendo che sarebbe stato guidato dalla grande amicizia che li univa.

Ivan Fassio è nato ad Asti il 24 dicembre 1979 ed è morto a Torino il 28 luglio 2020. Laureato in Lettere all'Università di Torino, ha dedicato la sua vita alla poesia, alla letteratura, all'arte contemporanea e performativa, all'editoria. È stato ideatore e animatore di Spazio Parentesi a Torino, libero luogo di esposizione, condivisione e presentazione di progetti artistici e letterari contemporanei. La sua attività si è svolta principalmente a Torino e in Piemonte, ma anche a Genova, Bologna e Milano.


Dalla prefazione di Laura Callari:

«Nontìscordàrdimé non è solo un fiore, non è solo una richiesta; è soprattutto il ricordo di un ciclo e del suo passaggio. Dell'alternarsi tra la vita e la morte e più che altro sull'esserci e il non esserci, l'essere visti o il non essere visti. Gli eventi che si ripetono. É un suono che batte un ritmo. Il ritmo ti culla e ti accompagna, è il motore della poesia che dà senso alle cose, come nella musica.
La poesia e le parole, sono un luogo in cui tornare.
Questo fiore ha un comportamento vegetativo abitudinario. Ritorna ciclicamente negli stessi luoghi. Si manifesta con gruppi di piccoli fiorellini e ha un'identità che trova rappresentazione nella molteplicità. Si trova ai bordi delle strade, nelle zone di confine. È l'insieme delle cose che crea un’unità. Chi ha scelto questo titolo, sapeva bene che non c'è parola più adatta per descrivere questo libro, quello che è stato e quello che sarà.
Ivan, non è proprio possibile scordarsi di uno come te».



01 May 2021

#1 ARSITA. LEGGERE DOVE NON SI LEGGE: In viaggio con Sangue e Latte - di Gaia Russo Frattasi e Eugenio Di Donato




Leggere dove non si legge è un esperimento.

Porta il libro nelle piazze, nei lavatoi, nei bar, alle fontane. Là dove non te lo aspetti. Dove per abitudine e costume non siamo abituati a pensarlo. Come se il libro avesse dei posti specifici dove comparire e non si potesse leggere ovunque.
Leggere dove non si legge rompe con la tradizione che costringe il libro nelle librerie e nelle scuole. Che ne fa un soggetto per pochi, qualcosa per addetti ai lavori.
Pensa che il posto migliore per un libro siano le mani del lettore. Qualunque lettore. Di ogni ordine e grado, nazionalità, etnia, sesso, genere e religione.

E allora ce lo porta. E immagina acquedotti, fontane pubbliche di lettura. Luoghi accessibili dove il lettore possa soddisfare la propria sete.

Immagina che il leggere, il costruire spazi di conoscenza attraverso la parola scritta, diventi un gesto quotidiano.

Leggere dove non si legge è un viaggio in dodici puntante. Dodici tappe con il romanzo Sangue e Latte, l’editore El Doctor Sax, l’autore Eugenio Di Donato e la regista Gaia Russo Frattasi che vi racconterà con l’occhio della sua telecamera il territorio che abbiamo attraversato. Le strade divelte e i paesaggi mozzafiato, le case tagliate in due dal terremoto e i ponti puntellati, serpenti e mandrie che pascolano nella notte in un concerto di campanacci, i bar di paese e le fontane. Gaia Russo Frattasi racconterà le persone e gli spazi in cui abitano, racconterà un contesto e la sua lingua. Vi mostrerà come un libro possa essere preso in mano senza timore, in situazioni le più svariate e come l’atto di leggere sia più vicino alla persone di quanto non ci si sia abituati a pensare.




PRIMA TAPPA: ARSITA

Si parte da Castelli, in provincia di Teramo, dove faremo base per qualche giorno. Gaia non conosceva Castelli, non immaginava di trovare alle sue spalle una parete gigantesca e selvaggia.

Mentre si guarda intorno stupita e meravigliata sulle labbra le affiora una parola primordiale.

«È preistorica» dice, senza staccare un attimo gli occhi dalle guglie che come pinne di un tirannosauro puntellano la cresta sommitale della parete. La parete è immensa, tutta spaccata, con il bosco e i prati che si arrampicano verticalissimi finché possono. Poi arriva lei, la roccia, e da quel punto della strada pare stia ancora emergendo. Sembra si muova.

«Credevo di conoscere l’Abruzzo» aggiunge e resta a bocca aperta.

Sorrido, la nord del monte Camicia ti stordisce, si impone potente e inaspettata, occupa tutto lo spazio. Sorrido di nuovo e le dico, «vedrai…», e non mi riferisco alle meraviglie paesaggistiche ma ai circa venti chilometri di strada dissestata che ci separano da Arsita. Tra Castelli Befaro e Arsita il tempo si dilata. Succede qualcosa all’aria, e sebbene non ci sia nessun cartello a segnarne i confini tu lo «senti» che hai valicato una zona. Che non è come prima. Lo spazio ti avvolge, e ti tiene. Ti stringe così forte che avverti la sua morsa per giorni.

Valichiamo fossi, schiviamo anfratti e buche che paiono voragini, l’asfalto appare a tratti e quando c’è è divelto, spaccato dalle pioggia e dai cingoli dei trattori, forma dei denti che sono gradini. Procediamo a passo d’uomo, l’auto tocca, gratta, struscia ma procede. È l’ultima discesa, porta a un ponte sgarrupato con le ringhiere arrugginite e accartocciate, sembra ci sia passato sopra qualcosa di molto grosso, sotto scorre il Fino, il fiume che dà il nome alla vallata. Siamo ufficialmente nel comune di Arsita.


LEGGERE from Gaia on Vimeo.

28 April 2021

LE TANTE MORTI DI AMBROSE BIERCE di Rafael Becerra (Traduzione di Silvia Pantò)

 




È comune alla maggior parte dei recensori e biografi delle opere di Ambrose Bierce lasciarsi coinvolgere dai fatti che riguardano la sua misteriosa scomparsa e la sua morte. La questione in sè, alimenta la mente macabra dei lettori e degli stessi editori che continuano a parlare di come finì la vita dello scrittore al punto da inventare conclusioni bizzare, solo per poter avere un epitaffio certo di uno dei più grandi misteri della letteratura.

Per quanto molto conosciuta, non è della sua misteriosa scomparsa che voglio, ma delle tante morti che una persona si ritrova a dover affrontare nella propria vita, quelle che forgiano il carattere perché originate da circostanze dolorose, che possono condizionarci per tutta la vita. Questo fu il caso di Bierce, che gli inglesi soprannominarono Bitter Bierce, a causa dell'amarezza e della disillusione tipiche dei suoi scritti. Basta osservare la sua biografia per farsi venire un nodo in gola.

Essere il più giovane di nove fratelli, di una famiglia umile, in un villaggio dell'Ohio nel 1842, non può essere definita una fortuna, cosa che pensava anche Bierce, e da cui nasceva l'odio verso la propria famiglia. Suo fratello Albert era l'unico che sfuggiva all'ira della sua penna, non si sa bene perchè, ma si può intuire facilmente. E
ra sua madre il vero capo famiglia, calvinista e puritana, gestiva con rigore le vite dei propri figli e del marito scansafatiche, con la frusta in una mano e la bibbia nell'altra.

È in questo ambiente repressivo e pieno di pregiudizi che crebbero i nove figli e non c'era da meravigliarsi se tutti desiderassero scappare da lì. Uno dei suoi fratelli fuggì con un circo e un'altra sorella, andata in missione in Africa, ebbe un drammatico incidente relazionato alla dieta di alcuni indigeni.

A 17 anni Bierce entrò nell'accademia militare ma presto esplose la guerra di secessione che nel 1861 lo trascinò con sè. La tragedia della guerra si manifestò davanti gli occhi di quel ragazzo, con tutta la sua crudeltà e drammaticità; egli stesso ne farà le spese rimanendo gravemente ferito. Quest'esperienza così orribile fu ciò che ispirò buona parte delle sue opere. Difatti non vi era traccia d'invenzione alcuna nelle storie narrate in Nel mezzo della vita. Racconti di soldati e civili: ogni oscenità descritta
, sia morale che fisica, fu realmente vissuta in prima persona da Bierce. I racconti contenuti in quest'opera sono quelli di persone segnate da un destino avverso. Un'opera pacifista, che mostra le ombre di uno spettacolo bellico misero e privo di grandezza. Molti studiosi considerano questa raccolta di racconti come la sua miglior opera.

Bierce si stabilì poi a San Francisco e iniziò a scrivere per diversi giornali, interessandosi alla politica locale, venendo nuovamente deluso anche da questo mondo. Fu però questo il periodo in cui incontrò Mark Twain, con il quale strinse una solida amicizia. In seguito andò a vivere a Londra per tre anni, forse il periodo migliore della sua vita. Successivamente si sposò, ma purtroppo non visse un matrimonio felice: due dei suoi figli morirono tragicamente, uno in una rissa e l'altro alcolizzato. Nel 1889 si separarò da sua moglie, dopo 18 anni di matrimonio. Nel 1876, una volta tornato a San Francisco, ricominciò a scrivere per giornali attraverso i quali raggiunse un grande prestigio. Stufo del suo amaro presente, si imbarcò in quella che risultò essere la sua ultima avventura. Realizzò, prima di tutto, un viaggio in cui ripercose i campi di battaglia della guerra di secessione americana, e nel 1913 partì per la guerra civile in Messico, luogo in cui si persero le sue tracce.


Di Ambrose Bierce rimangono le sue opere, i suoi magnifici racconti, le sue storie fantastiche ed il suo incatalogabile e inimitabile Dizionario del diavolo, un'opera corrosiva piena di black humor, in cui lo scrittore fa magistralmente i conti con una società corrotta. Un capolavoro universale, sempre attuale,da rileggere spesso, vista la brutalità dei nostri giorni.

Bierce fu paragonato a scrittori come Nathaniel Hawthorne, Herman Melville, Edgar Allan Poe y Stephen Crane. Con un curriculum di questo livello, vale la pena immergersi nelle sue opere, perché si viene immediatamente catturati dal suo stile vivace, che trascina nelle storie, a volte terrificanti, altre violente, o fantastiche, con titoli davvero suggestivi come Il club dei parenticidi.

Un autore che continua a suscitare ammirazione e al quale è importante ritornare spesso per ricordarci che nessuna vanità, nessun cosa materiale, potrà salvarci dalla stupidità.

27 April 2021

FRANÇOIS MAURIAC ET LA MAISON GRASSET: Lettres de François Mauriac a Louis Brun - Pier Luigi Pinelli

 


La correspondance de François Mauriac constitue une véritable «biographie intime»: il y révèle ses penchants politiques et littéraires et s’y exprime avec liberté et franchise. Cette absence d’arrière-pensée et d’élaboration confère aux Lettres de François Mauriac à Louis Brun une simplicité et une spontanéité empreintes au charme naturel de sa conversation. Ce qui faisait dire à Jacques Chardonne: «C’est que vos lettres sont vous-même, plus que tout.» Le lecteur trouvera dans ce texte ample confirmation de l’importance que François Mauriac a accordée à la valeur de son œuvre et à son métier d’écrivain qui devait lui permettre de gagner sa vie. Dans ces lettres, il n’est pas question de problèmes littéraires, religieux ou politiques, mais on y trouve un Mauriac «au quotidien» qui veut tirer de sa profession tous les avantages économiques possibles. Cette correspondance témoigne aussi du rapport parfois difficile de François Mauriac avec son éditeur, Bernard Grasset. C’est une relation qui faisait écrire à Louis-Ferdinand Céline: «Tous les éditeurs sont des charognes»; à quoi Gaston Gallimard rétorquait: «Un auteur, un écrivain, le plus souvent n’est pas un homme. C’est une femelle qu’il faut payer, tout en sachant qu’elle est toujours prête à s’offrir ailleurs. C’est une pute.»

François Mauriac, né à Bordeaux, le 11 octobre 1885, a fait ses études chez les marianistes du collège de Grand-Lebrun. Les vacances dans les Landes l’enracinent dans un terroir qui est à l’origine de son œuvre romanesque et poétique. À l’âge de vingt ans, en 1906, il «monte» à Paris et se consacre à la littérature. Ses romans principaux sont: Genitrix, Le Désert de l’amour, Thérèse Desqueyroux, Le Nœud de vipères, La Pharisienne, Un adolescent d’autrefois. Élu à l’Académie française, en 1933, il remporte le prix Nobel, en 1952. Il meurt à Paris, le 1 septembre 1970.

Pier Luigi Pinelli, professeur de Langue et Littérature française à l’Université de Gênes, Chevalier des Palmes académiques a consacré ses recherches sur Montesquieu, Rousseau, Hugo, Champfleury, Flaubert, Gide, Valéry, Zola, Huysmans, Mauriac, Barbusse, P. Grainville, C. Gailly et, à partir des années 1990, à l’édition génétique de Genitrix, du Désert de l’amour et de La Fin de la nuit.



22 April 2021

LA MAIL ART TRA FUTURISMO E INISMO - Eugenio Giannì

 

La Mail Art tra Futurismo e Inismo intende colmare un vuoto che, seppure rappresentato da annunci, volantini e libri dei singoli mailartisti, non offre una visione d’insieme dell’intero processo. L’aver raccolto in un unico volume l’attività dei numerosi autori, dagli Stati Uniti all’Italia, dalla Francia alla Polonia, dalla Germania al Giappone, attraverso i documenti conservati negli archivi, vuole essere un modo per far conoscere il complesso e spesso degenerante pensiero sull’arte, sia a livello filosofico sia artistico. Non sempre, infatti, i numerosi movimenti sorti nel primo Novecento sono riusciti a portare avanti le attese enunciate dalle avanguardie. Permane indelebile, oggi, da una parte l’azzeramento di senso procacciato dalla Mail Art, dall’altra il suo recupero e la libera creatività che l’Inismo pone alla base della propria ideologia.

Eugenio Giannì, estetologo e teorico dell’arte, aderì all’Inismo, movimento internazionale d’avanguardia, nel settembre 1990. Già docente di Teoria della comunicazione visiva presso l’Istituto Statale d’Arte di Arezzo, di Estetologia presso lo Studio Paolino Internazionale della Comunicazione Sociale (SPICS) e nell’Università Pontificia di Roma, è autore di numerose pubblicazioni tra cui Estetologia del colore. La dinamica del movimento nell’arte e Saggio sull’arte contemporanea d'avanguardia. L’inismo.





20 April 2021

LA CAMPANA DE CRISTAL de Sylvia Plath - por Rafael Becerra




Es difícil comprender las razones de un suicida. La escala de valores a las que nos atenemos las personas normalizadas no servirían para establecer ni para acercar una explicación al acto de quitarse la vida. En muchos casos esas razones pueden atender a determinadas circunstancias que junto con una buena dosis de desesperación llevan a la persona a terminar con su vida, quizás en un arrebato. Pero cuando es la mente distorsionada la que lo empuja al suicidio, las explicaciones o razonamientos quedan fuera de la ecuación.

La campana de cristal, es un libro, más que premonitorio, se podría decir, contemporáneo con el suicidio de su autora: Sylvia Plath. Fue publicado tras su muerte, y su protagonista, Ester Greenwood es ella misma, narrando el viaje íntimo hacía la locura y su posterior recuperación e integración en la sociedad. En la realidad, esa integración se transformó en su propio fin.


Siempre he tenido en alta consideración a las personas que se quitan la vida. Cierto sentimiento de respeto y admiración, dada la valentía del acto. Pero he caído en el error casi siempre de pensar en ello como un acto premeditado. Hace apenas dos años viví de cerca el suicidio de una mujer, hermana de un buen amigo. Esta persona, profesora, madre de dos hijos, y aparentemente normal, llevaba una vida tranquila y monótona como casi todos nosotros, hasta que algo comenzó a romperse dentro de su mente, y comenzó ha hablar de quitarse la vida. Su hermano, incapaz de comprenderla me narró con amargura los pasos que siguió hasta conseguir llevar a cabo su objetivo. Escuchar ese relato es estremecedor: -¡Las voces me dicen mátate! Creo que no hace falta ahondar más en el caso, ya que ninguna conjetura lanzada desde la razón nos haría llegar a ninguna conclusión plausible.

Sylvia Plath se suicidó en 1963, la 
La campana de cristal es la primera novela que leo de ella, pero me ha descubierto a una autora de una sinceridad brutal, su mirada encubierta en su personaje, de una lucidez y una frialdad terrible y hermosa al mismo tiempo. Muestra sin disfraz que las cosas más sencillas de la vida pueden ser proyectos imposibles para aquellas personas encerradas bajo esa campana imaginaria. El símil es demoledor. 31 años, una corta vida según lo podríamos ver nosotros, pero toda una eternidad que pesa como una losa para aquellos que no pueden soportar el peso de la misma. La sensibilidad de esta mujer invita a sumergirse en sus escritos, en sus poemas, que te arrastran de lleno a su corazón y su mente. Poesía confesional la nombraron algunos, en ese afán de tener todo clasificado, como si el hecho de poner una etiqueta nos diera la seguridad de que lo que leamos allí, ya está catalogado, ya no puede hacernos daño. Se equivocan. Sí que puede, la poesía que son trozos de una misma no se puede maquillar con clasificaciones ni etiquetas, siempre nos va a arrastrar al pozo de donde salieron, nos va a obligar a asomarnos al brocal y mirar dentro para que, aunque solo sea un instante, nos muestre lo terrible y hermoso que es vivir.
Rafael Becerra 

12 April 2021

MOLUSCOS de Marina González & Indiana Caba




Moluscos
es un poemario creado a distancia por dos personas que nunca se han visto cara a cara. Marina, la escritora de los poemas, descubrió por internet las fotografías de Indiana y le propuso hacer un proyecto conjunto donde imágenes y concepto entraran en diálogo. La distancia nunca fue un impedimento para llevarlo a cabo: “Moluscos” es el resultado de un intercambio de sensibilidades, donde dos jóvenes mujeres hablan sobre intimidad y emociones a través de las palabras y la fotografía. Un encuentro que sacó a la luz un libro intimista, una cita con el interior de cada una, con su día a día, con todo lo que les rodea e inspira. Un poemario sobre lo cotidiano y su trascendencia.


MARINA GONZÁLEZ. Valencia, 1985 Licenciada en Historia de Arte y especializada en Restauración de Pintura Mural. Soy una persona que observa la realidad a través de imágenes, y eso se observa en mis poemas: me fijo en la trayectoria de un gesto, la duración de una mirada, la temperatura exacta del café que me bebo, el significado oculto de los comentarios. Ando deprisa por las aceras, me acuesto demasiado tarde, bebo café, mistela y horchata. Evito la violencia física pero a veces puedo ser cruel con la boca, las palabras. Soy un poco patosa, pero no despistada. Me gusta estar guapa, pero me agobia el exceso de maquillaje. Me enganchan las historias que me cuenta el cine, pero prefiero imaginarme las situaciones. Por eso me gusta leer novelas. No soy muy romántica pero me considero una sentimental. Me gustan los detalles. Cada día dudo mejor. Soy más frágil de lo que parece, más ignorante de lo que me gustaría. El arte me completa, ilustra mi vida. Me gustan las calles húmedas, la música sonando, los gatos durmiendo a mi lado. Soy normal y corriente. Una mística de andar por casa. Desde la publicación de la primera edición de este poemario, Marina ha publicado tres libros de poemas y uno de relatos: Relatos: Mutagénesis (El Doctor Sax, 2019), Poesía/Relatos: Puro Buitre (El Doctor Sax, 2018), Poesía: Todos los Astros (Kindle, 2017), Poesía: Enjambre (En Huida, 2015), Poesía: Moluscos (Primera edición, autoeditado, 2013).

INDIANA CABA. Zaragoza, 1987 he vivido en tres países distintos, multitud de casas y durante varios años fui nómada mientras recorría el mundo. Ahora vivo en una casa rural en los Valles Pasiegos (Cantabria) y dedico el tiempo a crear en mi taller y cuidar del terreno, el huerto, mi hija, dos perros y tres caballos. Mi amor por la fotografía analógica persiste, aunque con frecuencia no puedo resistirme a la mágica instantaneidad de la cámara de mi teléfono. Desde hace más de 15 años no salgo de casa sin una cámara, siempre cambiante y casi siempre de segunda mano que bien puede ser una Pentax MX, una Olympus MJU II o una Nikon F65. Con ellas documento las pequeñas cosas del día a día, rutinas de las cuales muchas veces no somos conscientes de la belleza que albergan.





10 April 2021

Una esvástica en la cara de Luca Buoncristiano - por Rafael Becerra (Español)



¿Dónde está mi padre? ¿dónde está mi madre? La que dicen y redicen que me cambió por unas cervezas ¿Porqué este ansía de las instituciones por controlar mi educación? ¿Porqué tantas leyes como cadenas?  Comienza el viaje a la mente del asesino ¿Pero?¿qué asesino? Manson no mató a nadie, lo convirtieron en el chivo expiatoria de un sistema represor contra todo un movimiento cultural a finales de los sesenta. El tipo desde luego no era un santo, como tantos otros, un marginal desubicado, un delincuente juvenil oportunista en busca de un destino que le fuese favorable. En su persona se condensa la desorientación de una generación en busca de si misma, enfrentada a un gigante sin piedad a la hora de aplastar cualquier crítica o intento de cambiar las cosas.

Luca Buoncristiano nos introduce en la mente del más infame asesino de masas de todos los tiempos según los titulares de los diarios sensacionalistas americanos durante décadas. A través de las entrevistas que concedió, el autor nos invita a un viaje alucinado de un actor secundario dentro de su propia vida, donde el personaje fagocita a la persona. La irremediable víctima de un sistema que no estaba dispuesto a dejar que nadie, y menos un hippie, (cosa que Manson no era) hiciera temblar los cimientos de la democracia (siempre tan demócrata) americana.


Músico, ladrón, ideólogo, inadaptado, poeta, beatnik. Heterodoxo exponente de una época controvertida y cambiante cuyas heridas todavía duelen y cuyas brasas aún resplandecen.

Un paso más para entender las claves de un gigante implacable cuyo mayor enemigo fueron siempre los díscolos hijos que crecieron en su seno. La guerra más grande llevada a cabo por los EEUU fue siempre contra su propia estirpe. Un dato del que han tomado buena nota todos los países cercanos a su órbita.

Condenado por conspirar para cometer los asesinatos Helker Skelter de Sharon Tate y sus amigos el 8 de agosto de 1969 y los de Leno y Rosemary La Bianca a la siguiente noche. Un juicio y una acusación que hacían aguas por todas partes. Una historia que ha hecho millonarios a los ideólogos de películas, especiales de televisión, camisetas, libros.

Un relato que aporta su granito de arena para entender la contra-cultura americana en uno de sus grandes protagonistas. Totalmente recomendable, para comprender los mecanismos del poder político, que no tiene reparo en devorar sus propios principios.

Rafael Becerra

05 April 2021

POBRE BLANCO de Sherwood Anderson por Rafael Becerra

 


¿Cuándo te atrapa el progreso? ¿de qué forma se apodera de ti? Te rodea, te acorrala y difícilmente serás capaz de notar su silenciosa invasión, el primer golpe suele ser estrepitoso, como en una fiesta, cambia todo y de repente te invade la felicidad. La prosperidad está a la puerta, a partir de entonces todo será diferente, poco a poco, llevados de la mano de los más atrevidos nos sumergimos en el futuro. Hasta el punto de que pasado un tiempo los cambios más sutiles te pasarán desapercibidos, aceptarás las azucaradas mejoras como antes aceptabas la más ruin de las ignorancias. Entonces estás atrapado, intentar regresar es imposible, y solo te queda aceptar y firmar tu rendición.

Hugh Mcvey nacido de la pluma de Anderson se muere por agradar, por sentirse integrado y reconocido en el pequeño pueblo donde vive. Anhela el amor, la normalidad. Y se sirve de su ingenio para hacerse acreedor de tan volátiles tesoros. Construye una máquina que facilita la vida de la pequeña localidad agrícola, se gana el prestigio, pero en realidad es devorado por la industrialización imparable de la época que le ha tocado vivir. El retrato de ese avance implacable es el relato contenido en la novela: Pobre blanco. Las pasiones de sus protagonistas, la tragedia invisible que flota en el ambiente de prosperidad. Y la caída de todo el que se interpone en su camino.


Sherwood Anderson, autodidacta, no provenía de círculos académicos, sino que se formó rodando por Estados Unidos, una infancia itinerante de pueblo en pueblo, de colegio en colegio. Luego, la firme voluntad de ser escritor, de forma natural, inconformista, logró encandilar a la crítica con su colección de cuentos: Winersburg, Ohio. Pero ante una vida anterior de privaciones y calamidades, llegado su éxito y convertido en escritor famoso, no tarda en creerse su propia historia y en formar parte de una élite donde el trabajo más arduo es vigilarse unos a otros, mantenerse a salvo de las críticas y permanecer toda la vida en el candelero. En este punto la frescura da paso al hastío, la originalidad se vuelve mediocridad, y la caída es un abismo demasiado cercano. Faulkner lo retrata en su novela Mosquitos, donde no sale bien parado:

“Nuestra vida artística en Nueva Orleans me gusta, tiene una especie de encantadora futilidad” Su personaje Fairchild, caricaturizado de Anderson, provocó el enfado de éste, y el distanciamiento de los dos colegas, tal vez Faulkner trató de salvar a su amigo, de rescatarlo de una vida superficial que parloteaba sin parar sobre arte, sexo, literatura, sin profundizar en ninguna de sus opiniones. Sea como fuere, Sherwood Anderson fue víctima de aquello que supo denunciar tan bien en sus primeros libros: El progreso. Fue testigo de un cambio que lo acabó fagocitando y convirtiendo en alguien que nunca fue, pero que deseó ser desde su lejana e inestable infancia.

01 April 2021

I DIARI DI ADAMO ED EVA di Mark Twain recensito da Rafael Becerra (Traduzione di Silvia Pantò)

La Genesi non ci racconta nulla di loro. Si concentra più che altro sul Creatore, questo dio maldestro e crudele con i suoi capricci, ai quali vengono sottoposte tutte le creature. Tra le più disgraziate, viste le aspettative che aveva riposto in loro, Adamo ed Eva.

Chi gli ha mai dato voce? Chi si è mai sforzato di capire la loro difficile situazione di giovani ignoranti e innocenti, due bambini dalla mente malleabile e ancora priva di valori, costretti a scoprire il mondo da soli.

È per questa ragione che Mark Twain ci offre un bellissimo libro nel quale Adamo ed Eva si raccontano attraverso i propri diari. Attraverso questi, Twain immagina il loro processo di apprendimento, il conoscersi l’un l’altro, indagando sullo scontro di personalità che li ha condotti alla comprensione reciproca, alla vicinanza, alla mutua ammirazione, all’amore. Sentimento inventato da queste due creature, che con questa innovazione sono riuscite a superare proprio il Creatore, che dimostrava invece di esserne carente. Si può dunque colpevolizzare in maniera così esagerata due bambini incoscienti delle proprie azioni? Solo un essere, o un ente pieno di risentimento può farlo, solo un represso, passivo-aggressivo agirebbe in tale maniera. Fu così che quelle creature mosse dalla curiosità, hanno reso la loro specie così grande, disobbedendo. Lo fanno con l’incoscienza, figlia della totale mancanza di malizia e di esperienza, il rifiuto dell’irrazionalità. Come avrebbero potuto scatenare l’ira di dio, se non infischiandosene degli effetti delle proprie azioni, in modo insolente e spavaldo?


La Genesi ci presenta due personaggi ignorati, ma la cui storia è nota a tutti, creati per giustificare gli schemi di una religione che fallisce di fronte ad un analista (Twain) mosso dall’amore e dalla compassione per le creature confuse. Ci mostra un punto di vista che nessuno ha mai considerato, al principio dei tempi. Una giustizia storica necessaria e poetica. Una freccia intelligente che abbatte la nostra erronea capacità di dare le cose per scontate e di crederle vere così per come ci sono state raccontate. La bellezza di questi diari ci riconcilia con l’innocenza, ci invita a guardare con occhi differenti la persona con la quale conviviamo. Ci immaginiamo disperati in questo paradiso di solitudine che trabocca di qualsivoglia benedizione tranne una: l’amore. Questo strano sentimento che caratterizza l’esistenza umana. Questo soffio di effimera felicità contro il quale lottano alcune religioni monoteiste che sminuiscono un sentimento che non possono comprendere, e men che meno accettare, senza ostacolarlo, consapevoli che potrebbe far crollare il loro potere.

Questo è un libro da riscoprire, da rileggere, un libro bellissimo che ci strappa un sorriso, perché rilegato con un filo sottile di ironia.

Mark Twain esplora le possibilità che offre il racconto biblico per immaginare le reazioni di due esseri condannati a capirsi; non lo presenta come un castigo, ma come un’opportunità per analizzare la necessità di una controparte, in un mondo vergine e solitario. Che ne sarebbe di tutta l’esperienza, di tutte le scoperte, di tutti i dubbi, se non avessimo qualcuno con cui condividerli? La grandezza della solitudine in un mondo selvaggio finirebbe per divorarci. Nel racconto non ci sono critiche, i due giovani sono costretti ad abbandonare il Paradiso e prendendo atto della nuova realtà, senza giudicare chi per primo li aveva giudicati, cacciandoli. Continueranno a coltivare la loro innocenza, scoprendo il mondo esterno e le sfaccettature delle loro personalità, accettando il loro destino, tanto da far pronunciare ad Adamo queste immortali parole: «Ovunque lei fosse, lì era il Paradiso».

Rafael Becerra


29 March 2021

Recensione di L'uomo Elefante e altri racconti - di Natalia Verginella (italiano)



Da bambina, nella biblioteca della nonna, amavo sfogliare un vecchio libro appartenuto al bisnonno con fotografie in bianco e nero di donne barbute, persone affette da nanismo, bimbi con piedi da elefante e altri “fenomeni da baraccone”. Li osservavo per ore nei dettagli cercando di capire cosa potessero provare in quelle pose bloccate tipiche delle fotografie dei primi Novecento.

Non so se è per questo ricordo dell'infanzia che nella mia libreria ci sono i dvd di Freaks, un film del 1932 diretto da Tod Browning, ambientato nel mondo del circo ed interpretato da veri e propri fenomeni da baraccone, e uno dei miei film preferiti, The Elephant Man di David Lynch. Proprio quest'ultimo è l'adattamento cinematografico del libro The Elephant Man and Other Reminiscences di sir Frederick Treves.

La casa editrice El Doctor Sax ne ha pubblicato la versione italiana L'uomo Elefante e altri racconti di Frederick Treves, tradotto abilmente da Armando Rotondi, e ovviamente da oggi è nella libreria di casa mia.

È un libro che si legge tutto d'un fiato. È piacevolmente semplice ma appassionante. I caratteri della copertina richiamano le locandine del circo dei primi del Novecento quando i fenomeni da baraccone erano una delle attrazioni, e l'immagine centrale creata da Marco De Luca richiama la figura dell'Uomo Elefante al centro di un mirino, al centro dello sguardo di tutti.

Frederick Treves è stato un grande chirurgo, un fine anatomista, e un abile scrittore. Racconta con attenzione per i dettagli, quasi come fosse un antropologo, il suo incontro e la sua amicizia con Joseph Merrick, il famoso Uomo Elefante, per tanto tempo esibito come fenomeno da baraccone nella Londra di fine Ottocento.

Treves non descrive di Merrick solo le deformità fisiche, ma delinea un ritratto intimo e personale con parole semplici, ma estremamente vivide che regalano al lettore dei preziosi quadri intimisti.

“Rinchiusa in un negozio vuoto e illuminato dalla debole luce blu del bruciatore a gas, questa figura ingobbita era l'incarnazione della solitudine...

Fuori splendeva il sole e si sentiva il via vai dei passanti, una melodia fischiettata da un ragazzo e il ronzio amichevole del traffico sulla strada.”


Grazie alla potenza di queste descrizioni, il lettore conosce non un fenomeno da baraccone, ma semplicemente un uomo, con le sue fragilità, i suoi sogni e le sue paure.

“Fu solo quando scoprii che Merrick era molto intelligente, che possedeva una sensibilità acuta e – ciò che è peggio – un'immaginazione romantica, che finalmente compresi la travolgente tragedia della sua vita.”

“Aveva una passione per la conversazione, ma per tutta la vita non aveva mai avuto nessuno con cui parlare.”

“Non aveva avuto un'infanzia. Non aveva avuto un'adolescenza. Non aveva mai provato piacere, Non sapeva nulla della gioia di vivere né del divertimento. La sua unica idea di felicità riguardava lo strisciare nell'oscurità per nascondersi.”

“ Era passato attraverso il fuoco e ne era uscito illeso. I suoi problemi lo avevano nobilitato.”

“Una cosa che mi aveva sempre colpito tristemente era il fatto che Merrick non potesse sorridere... Poteva piangere, ma non poteva sorridere.”

“Mi colpiva quando mi diceva che si era fatta strada nella sua mente l'idea, nell'ipotesi di vivere tra ciechi, di poter conquistare l'affetto di una donna, se solo fosse stata senza occhi per vedere.”


L'uomo Elefante e altri racconti di Frederick Treves è un piccolo capolavoro di verità, un'analisi estremamente attuale dell'uomo e della sua unicità.
Frederick Treves non descrive solo Joseph Merrick, l'uomo elefante, descrive me e forse tutti noi che ogni giorno lottiamo, nel centro del mirino, per farci accettare dagli altri semplicemente per quello che siamo.

 Natalia Verginella

25 March 2021

LAS MUCHAS MUERTES DE AMBROSE BIERCE por Rafael Becerra





Es habitual en la mayoría de los reseñadores y biógrafos de las obras de Ambrose Bierce verse arrastrado por los hechos misteriosos que rodearon su desaparición y su muerte. El asunto en sí, aviva la mente truculenta de los lectores y de los mismos editores que no paran de recordar una y otra vez el final del escritor. Final que ha alimentado la mente de unos cuantos que se inventaron rocambolescos colofones para poder sentar bajo una certeza y un epitafio uno de los grandes misterios de la literatura.

Aquí, por conocida que es la misteriosa desaparición, no hablaré de ella, pero sí, de las numerosas muertes que una persona puede sufrir en vida, esas que irán forjando tu carácter y que en aciagas circunstancias, puede condicionar toda tu vida. Ese fue el caso de Bierce, a quién los ingleses apodaron: Bitter Bierce. Debido a la amargura y la decepción que empapaban sus escritos. Basta echar un vistazo a su vida para tragar saliva con dificultad.

Su nacimiento como el benjamín de nueve hermanos en una familia humilde en un villorrio de Ohio en 1842 no puede definirse como afortunado, y recordarlo solo hacía manifestar en el autor un odio integral hacía su familia. Su hermano Albert es el único que escapa a la ira de su pluma, no se sabe porqué, pero no es difícil imaginar que sería quién no se dedicara a amargar la vida del pequeño de la familia. Por otra parte, su madre, verdadera cabecilla del núcleo familiar, calvinista y puritana, gobernaba con mano de hierro las vidas de sus cachorros y su indolente marido, el látigo en una mano y la biblia en la otra. En este ambiente represivo y lleno de prejuicios se crían los nueve pequeños, no es de extrañar que todos estuvieran deseando de salir de allí, uno de sus hermanos se fugó con una feria, y otra hermana, misionera en África, tuvo un dramático final relacionado con la dieta de algunos indígenas.

Con 17 años Bierce entra en la academia militar pero pronto estalla la guerra de Secesión arrastrando al joven a sus filas en 1861. La tragedia de la guerra con toda su crueldad y crudeza se manifiesta ante un muchacho que quedaría marcado de por vida ante experiencia tan amarga. Fue gravemente herido en combate. De esa guerra alimentaría parte de su obra, en Cuentos de civiles y soldados donde no
maquilla ninguna de las inmundicias experimentadas en la guerra, ya fueran morales o físicas. Unos cuentos plagados de seres arrastrados por un destino nada benévolos con ellos. Obra pacifista que muestra las sombras de un espectáculo bélico carente de grandeza. Muchos estudiosos proclaman sus cuentos de guerra como lo mejor de su producción.

Bierce se instala en San Francisco y comienza a escribir en diferentes periódicos, se interesa por la política local, pero nuevamente sufre un desengaño. Por aquella época conoce a Mark Twain con quién forja una sólida amistad. Más tarde se casaría y marcharía a vivir tres años a Londres, quizás la mejor época de su vida. Pero no vivió un matrimonio feliz, dos de sus hijos mueren de forma trágica, uno en una pelea, y el otro a causa del alcohol. En 1889 se separa después de 18 años de matrimonio. En 1876 una vez vuelto a San Francisco comienza de nuevo a escribir en periódicos donde alcanza un gran prestigio. Pero hastiado de su amargo presente se embarca en la última aventura. Realiza un recorrido por los campos de batalla donde antaño guerreó y en 1913 parte para la guerra civil de México, donde su rastro se pierde en aras de la especulación.


De Ambrose Bierce quedan sus obras, sus magníficos cuentos, sus historias fantásticas y su incatalogable e inimitable Diccionario del diablo una obra corrosiva plagada de humor negro donde ajusta las cuentas con una sociedad corrompida de forma magistral. Un libro de cabecera que hay que consultar de seguido, debido, a su siempre rabiosa actualidad.

Ha sido comparado con Nathaniel Hawthorne, Herman Melville, Edgar Allan Poe y Stephen Crane. Con semejante currículum merece la pena sumergirse en su obra, pronto te verás atrapado por su estilo ágil, que te arrastrara de lleno a cualquiera de sus cuentos, a los terroríficos, a los bélicos, o fantásticos con títulos tan sugerentes como El club de los parricidas.

Un autor que sigue despertando admiración y al que es necesario volver a menudo para recordar que ninguna vanidad ni ningún materialismo nos salva de la estupidez.

Rafael Becerra

19 March 2021

LOS DIARIOS DE ADÁN Y EVA de Mark Twain por Rafael Becerra

 


 



El Génesis no nos cuenta nada de ellos. Se centra en su creador, ese dios torpe y cruel a cuyo capricho quedaba toda criatura. Y las más desgraciadas, por lo que se esperaba de ellos: Adán y Eva.

¿Quién se ha planteado alguna vez darles voz? Comprender su difícil situación, dos jóvenes ignorantes e inocentes, dos niños de mente maleable que carecen de valores y se ven abocados a descubrir las cosas por sí mismos.

Mark Twain nos ofrece un bello relato en forma de diarios personales de Adán y Eva, imaginando como fue ese aprendizaje, ese conocimiento del uno para el otro, esa contradicción de caracteres que condujo al entendimiento, a la cercanía, a la mutua admiración. Al amor. Inventado por esas dos criaturas que superan en ese acto a su creador que carecía de el ¿Se puede culpabilizar a dos niños ignorantes de sus acciones de forma tan desproporcionada? Solo un ser, o un ente enfermo de resentimiento puede hacerlo, solo un reprimido actuaría de tal modo. Y aquellas criaturas llevadas por la curiosidad que haría tan grande a su raza, desobedecen. Lo hacen con la inconsciencia que les da la falta de maldad, la carencia de experiencia, el rechazo a la sinrazón ¿De qué otro modo hubieran desatado la ira de dios si no fuera por su desconocimiento del miedo y del alcance de sus actos?

El Génesis nos presenta a unos personajes ninguneados y reducidos por la historia, creados para justificar las pautas de una religión que fracasa delante de un analista (Twain) que hace su trabajo desde la compasión a unas criaturas desvalidas; desde el amor, y desde la concordia. Nos muestra un punto de vista ignorado al principio de todo. Una justicia histórica necesaria y poética. Un dardo inteligente que frena de golpe a nuestra equívoca capacidad de dar las cosas por sentado según nos son contadas. La belleza de estos diarios nos concilia con la inocencia, nos invita a mirar con otros ojos a la persona con la que compartimos la vida. Nos imaginamos sin remedio en esa soledad de un paraíso rebosante de todo menos de una cosa: El amor. Esa extraña cualidad humana que nos empatiza con la existencia. Ese soplo de felicidad efímera contra el que luchan algunas religiones monoteístas que zancadillean un sentimiento que no pueden comprender y menos aceptar sin cortapisas, a sabiendas de que su poder se desmoronaría.


Este es un libro para celebrar, para compartir, un libro hermoso que nos saca una sonrisa pues está hilado con un finísimo sentido del humor.

Mark Twain explora las posibilidades que ofrece el relato bíblico para imaginar las reacciones de dos seres condenados a entenderse, y lo plantea no como un castigo, sino como una oportunidad de analizar la necesidad que tenemos de nuestro contrario en un mundo virgen y solitario ¿qué sería de todas las experiencias, de todas las dudas, de todos los descubrimientos, si no tuviéramos a alguien con quién compartirlo? La magnitud de la soledad en un mundo salvaje acabaría por devorarnos. En el relato no hay reproches, los jóvenes abandonan el paraíso y asumen su nueva realidad sin juzgar al que juzgó y los expulsó. Ellos continúan alimentando su inocencia, aprendiendo, descubriendo la amplitud de su carácter y aceptando su destino con todas sus cualidades de su parte, que en un momento dado hacen pronunciar a Adán estas inmortales palabras:

Allí donde estuviera ella, estaba el paraíso.

Rafael Becerra