In viaggio con Sangue e Latte, di Gaia Russo Frattasi ed Eugenio Di Donato un racconto tra Abruzzo, Lazio e Marche in 12 tappe.
Ai piedi e sopra il Sasso di Pretara ho passato un numero enorme di pomeriggi. Ci venivo con Tommaso, con Gilberto, Con Gabriele Schirano e anche con mio fratello. Venti, Venticinque anni fa. Ci sono arrivato in auto, con il furgone, in bici, in auto-stop. A Pretara ci si andava da soli, a fare i traversi quando non si aveva una compagno con cui scalare. Ci si andava a provare la mitica Pino la Rana, un 6b ammanigliato sotto la pancia del Sasso.
Una via che a guardarla sembra impossibile da salire e che invece si riesce a scalare. Una via che oggi per la sua difficoltà fa ridere ma che nel ’95, in provincia di Teramo, non era affatto scontata. All’epoca non c’erano molte falesie chiodate nella provincia. E anche Pino la Rana oggi chiodata a fittoni resinati era protetta con un paio di cordini, due cavetti d’acciaio morsati intorno a una clessidra e un unico spit da 8 mm prima di arrivare in catena.
La prima volta che ho salito Pino La Rana è stata una grande, grandissima, soddisfazione. L’ho imparata guardando Gilberto. Eravamo in pochi a salirla nel ’95. Eravamo in pochi a scalare. All’epoca almeno a Teramo, ma credo in Abruzzo non esisteva ancora la resina.
Ci sono stato decine e decine di volte a Pretara, centinaia, senza esagerazione, davvero tante, ma non ero mai andato a vedere i lavatoi. Per noi arrampicatori Pretara era il Sasso. Il mondo cominciava e si esauriva intorno al Sasso. Un sasso che oggi non basta più, e che non bastava nemmeno allora, è, in effetti, una miniatura di falesia, ma resta bellissimo, piantato lì a un metro dal fiume, e con la sua via più difficile, La Sud del Camicia, un ostico 7a dà ancora del filo da torcere.
Su Castelli avrei molto da dire, è il luogo insieme a Milano dove ho trascorso più tempo, per ora mi taccio e lascio raccontare gli scorci del filmato.
LEGGERE DOVE NON SI LEGGE from Gaia on Vimeo.